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[#01] Dischi di gennaio (con lo ⓪)

L'anno dello zero è un anno speciale: lo zero è il numero del nulla, dell'assenza di connotati positivi o negativi, il confine neutrale tra quello che sta sotto (prima) e quello che sta sopra (dopo), ponendo così un ordine gerarchico al tempo e dando l'illusione di un progresso in avanti.

Solito discorso, quello dell'innovazione: la musica di appena un anno prima è automaticamente intesa come superabile (o superata), e l'esigenza di fare di più e fare meglio è implicita nelle attese suscitate dai nuovi inizi, tutti contrassegnati da questo limbo sabbatico che è lo zero. Periodo di raccolta, di riflessione, di pausa per incanalare il cambiamento nella progressione della decade in partenza. I 5 dischi in classifica (addio anni Sessanta, ora entrano gli anni Dieci) sono quindi contrassegnati da questa attitudine "libera tutti", da questa sospensione dell'urgenza garantita dall'indeterminatezza dello zero. Ci sarà da divertirsi? Vedremo.

► 1970

czeslaw niemen enigmatic polonia rock prog 1970
Czesław Niemen - Enigmatic (Polskie Nagrania Muza)

Conosciuto (si fa per dire) dal pubblico italiano per la sua partecipazione al Cantagiro, Niemen è stato uno dei più grandi protagonisti del rock polacco degli anni Sessanta e Settanta. Enigmatic, pubblicato nel gennaio del 1970, rappresenta una svolta di immagine e di suono determinante: alla leggerezza pop dei Sessanta (eravamo dalle parti dei Procol Harum), Niemen contrappone una fitta cortina progressiva a base di organo e hammond, oltre a un lirismo solenne e tragico. Si prenda la prima suite "Bema pamięci żałobny - rapsod", introdotta da un lungo addensamento di organo dove solo dopo quasi otto minuti fa capolino la voce, portando il brano verso il suo continuo crescendo di maestosa enfasi prog-blues. La combinazione di blues, soul, musica gospel e cantautorato (in particolare di "Poezja śpiewana", la poesia cantata tipicamente polacca) offre scenari assolutamente conturbanti: la bellissima "Jednego serca", con i suoi fraseggi tra graffianti chitarre elettriche e fiati soul-jazz, le forti inflessioni jazz-rock della solenne "Kwiaty ojczyste", la suadente e imperiosa ode blues di "Mów do mnie jeszcze". Un album da non farsi scappare, tra i capolavori del balzo in avanti fatto dal rock progressivo alle porte degli anni Settanta.


► 1980

john foxx synthpop metamatic 1980 new wave
John Foxx - Metamatic (Virgin)

Lasciati gli Ultravox, John Foxx inaugura un brillante periodo solista che lo vede sfornare almeno due capolavori: Metamatic del 1980 e il successivo The Garden. Synthpop austero e algido, che sembra voler portare avanti il lato più concettuale e sperimentale che Foxx eredita dalla sua vecchia band, ora impegnata in una formula new romantic laccata e ultrapop (basti ascoltare Vienna per capire la direzione intrapresa). Qui domina invece un minimalismo sordido, una cappa dark-tecnologica che ricopre un'elettronica anestetizzata e sinistra, robotica e kraftwerkiana, incapace di andare oltre a variazioni di intensità puramente quantitative (di velocità, di ritmo) e mai qualitative (il tono è sempre monotono e appiattito da una pesante cappa di apatia e distacco). Un disco radicale e affascinante, a partire dalle atmosfere gelide e noir di "Plaza" e "He's a Liquid", fino all'infittirsi techno di "Underpass" o all'addensamento drammatico di "No-One Driving" e al futurismo sci-fi di "Touch and Go": tutto è immerso nello scorrere meccanico dei patterns di drum machine, nelle coltri di programmazioni sintetiche, nella presenza alienata ma pregnante di un Foxx integralmente votato alla sua trasfigurazione elettronica (allontanandosi dai residui rock che ancora erano presenti negli Ultravox), eppure teatralmente carnale e - a suo modo - carismatico. Un lavoro epocale, impossibile da ignorare.


► 1990

the sundays jangle pop 1990
The Sundays - Reading, Writing and Arithmetic

Una band tipicamente anni Novanta e un album di grande successo: un pizzico di dream pop preso a prestito dal decennio precedente riletto in chiave jangle e indie (gli Smiths e i Cocteau Twins tra le referenze più dirette), aprendo la strada a una forma di soft-rock alternativo adatto per il gusto delle nuove generazioni, tra rimandi al passato e sonorità sempre più ibride e sfumate. La voce di Harriett Wheeler, limpida e vibrante, è in perfetto accordo con le chitarre acquose e sfumate che sciolgono le trame di David Gavurin in riverberi aleggianti, dipingendo vaporosi bozzetti dreamy ("Skin and Bones", "Can't Be Sure", "My Finest Hour"), o fragranti bozzetti jangle ("Here's Where the Story Ends", "I Won", "Hideous Towns", "You're Not the Only One I Know"). Da qui prenderanno le mosse, per fare un esempio, gli Innocence Mission, ma più in generale il lavoro dei Sundays rappresenta il risveglio (sonnacchioso) di un universo indie che avrebbe conosciuto l'ennesima fortunata metamorfosi nei Nineties.


► 2000

primal scream 2000 electro rock
PRMLSCRM - XTRMNTR (Creation)

Riciclarsi, cambiare. I Primal Scream ne sanno sicuramente qualcosa: tra i campioni dell'alternative dance e del movimento Madchester, la loro evoluzione è stata costante, fin dagli esordi jangle pop. Il loro settimo disco è un caustico e sfrontato schiaffo tirato in pieno volto al nuovo millennio. Rock elettronico sferzante e violento, una sorta di "altra faccia della medaglia" della stessa operazione compiuta dai Radiohead (basti ascoltare la splendida "Blood Money"), che pochissimo ha da spartire con il passato della band: si prenda l'acidissima e caotica "Kill All Hippies", con il suo synth estremo (sì, una versione brutalizzata del suono acid-house e  big beat) e il suo beat schiacciasassi, è una dichiarazione d'intenti bella e buona, una dichiarazione di guerra sfrontata e incazzata, nonostante le pose glam di un conturbante (e beckiano) Bobby Gillespie, o il noise assordante dell'hard rock "Accelerator" (al missaggio, non a caso, Kevin Shields), o ancora la dance opprimente e paranoica di "Exterminator" e "Swastika Eyes". Tutto trasuda distopia e aggressività, per quanto declinate entro una cornice di morbosa sensualità e sfrenato groove. Curato da una bella schiera di personale, XTRMNTR è un capolavoro che regge splendidamente ai suoi favolosi 20 anni.


► 2010

These New Puritans hidden chamber 2010 rock
These New Puritan - Hidden (Domino)

La musica da battaglia, se non proprio da guerra, degli inglesi These New Puritan, è quanto di più affascinante e straniante si possa ascoltare dal decennio appena passato. Nelle trame serrate delle percussioni - elemento prevalente e strutturante di ogni brano, grazie all'impiego dei tamburi Taiko giapponesi - si insinua una raffinatissima sensibilità arty, da camera, frutto degli studi di composizione di Jack Barnett, qui alle prese con la scrittura dei complessi arrangiamenti dell'album. L'attenzione estrema per cromature e timbri rinascimentali, per i quali la band ha utilizzato un ensemble di tredici elementi tra ottoni, strumenti a fiato e legni (fagotto,  controfagotto, clarinetto e clarinetto basso, corno, flauto, flicorno, tromba e trombone), si accosta a spunti contemporanei e d'avanguardia (il piano preparato, le citazioni di Steve Reich in "5") oltre che a una favella pop (il post-punk a legare il tutto con movenze moderne, ma anche un senso sincopato derivato dall'hip-hop). Dunque, "We Want War", fumigante tra sintetizzatori malefici, velature orchestrali, patterns ritmici battenti e campionamenti di parti corali (i Cambridge Singers di John Rutter), "Attack Music", assalto techno-barocco di grande coraggio compositivo, e "Drum Courts", interamente devota all'accostamento contrastato di ritmi forsennati e gelide spianate ambient, come brani manifesto. Ma anche le magnifiche parti di piano preparato e vibrafono della labirintica "Hologram", l'atmosfera satura (per quanto minimale nella struttura) e corale di "Orion", e l'apertura melodica di "White Chords", spettrale e alienata ma dotata di un suo bagliore che unisce Patrick Wolf, Piano Magic e una sorta di straniante r'n'b industriale. Insomma, un piatto forte da digestioni lunghe ma oltremodo appaganti.


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