Visualizzazione post con etichetta VDA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta VDA. Mostra tutti i post

Valle d'Aosta: dieci anni costituenti


valle aosta cenere fuoco crisi
INTRODUZIONE 

Il lungo decennio 2007-2020 ha inaugurato una nuova fase di carattere economico e politico per la Valle d'Aosta, durante la quale sono crollate le fondamenta del quarantennale consenso politico unionista ed è mutato irreversibilmente il tessuto socio-economico valdostano. La crisi finanziaria prima e quella dei debiti sovrani poi hanno determinato l’ulteriore marginalizzazione del territorio valdostano, già duramente compromesso dalla ristrutturazione degli anni Settanta e Ottanta. Una fase, quella, attutita dalla legge sul riparto fiscale e dal conseguente afflusso “illimitato” di risorse finanziarie, capaci di ammortizzare gli effetti altrimenti devastanti della crisi dell’industria: nonostante la continua deindustrializzazione e desertificazione produttiva del territorio, la Valle d’Aosta ha conosciuto decenni di stabilità grazie al patto sociale clientelare-assistenzialista della classe dirigente unionista (oltre che dei suoi satelliti). 

Un patto che non ha coinvolto tutte le categorie economiche, ma che ha saputo consolidare un blocco di interessi solido e fidelizzato, fondato anche, come hanno dimostrato le recenti inchieste giudiziarie, sui rapporti di lungo periodo con esponenti della criminalità organizzata. La fase attuale si apre invece con la riforma del federalismo fiscale e la legge di stabilità del 2011, che hanno comportato il ridimensionamento della disponibilità finanziaria della regione, con la soppressione della compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto. Nonostante un bilancio relativamente alto e un livello di spesa pro-capite tra i maggiori d’Italia (sebbene in calo), la nuova configurazione normativa (nazionale e comunitaria) impone una più oculata razionalizzazione delle risorse e una minore discrezionalità in merito al loro impiego. Si sono così incrinate irrimediabilmente le condizioni di stabilità dell’assetto politico, a sua volta condizionato da problemi interni (l’incapacità di esprimere un ricambio della classe dirigente e una credibile proposta di sviluppo) e infine delegittimato dalle indagini sull’utilizzo dei fondi dei gruppi consiliari e, soprattutto, dal terremoto delle inchieste sul radicamento della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. 

La frammentazione estrema della politica valdostana poggia le sue basi nel più ampio processo di scomposizione politico-economica e di ininterrotti scandali giudiziari. La crisi legata alla pandemia, nonostante un precario effetto politico di ricompattamento attorno alle forze moderate, non ha fatto che inasprire le tendenze di lungo corso, pesando su un’economia sempre più precaria e su lavoratori e lavoratrici sempre più confinati in settori a basso reddito e a scarse tutele. Nel frattempo, però, corpi “estranei” al contesto valdostano si sono sviluppati e rafforzati nutrendosi sia di parte dell’elettorato autonomista che di quello moderato-progressista, sia di fasce finora ininfluenti o marginali da un punto di vista politico (si consideri, in questo senso, la fugace scalata del M5S e il più consistente consolidamento della Lega). 

Ci troviamo a vivere in una crisi costituente, che intercetta e declina la più ampia e secolare crisi del capitalismo neoliberale, la quale determina fratture profonde negli equilibri delle democrazie liberali occidentali, funestate da rigurgiti reazionari, tendenze oscurantiste e spinte disgregative. Si apre, però, un campo di possibilità. È in questo campo che occorre trovare le condizioni per una svolta progressista ed emancipativa. 

I. CONTESTO ECONOMICO 

La Valle d’Aosta è da tempo una realtà post-industriale, per quanto esistano poli di specializzazione e importanti realtà storicamente consolidate. In un contesto caratterizzato, tra il 2007 e il 2019, da una riduzione del numero delle imprese pari al -14,5%, il settore industriale ha perso numerosi posti di lavoro (20,4% tra il 2008 e il 2019), dinamica confermata da una contrazione delle attività manifatturiere pari al -1,1% nel 2019 e esacerbata dalla crisi del comparto delle costruzioni (che ha conosciuto una perdita occupazionale del 34%). Non è tuttavia immaginabile l’abbandono di una strategia di rilancio del settore secondario, che deve essere ristrutturato e ammodernato, e che deve essere incluso in una più ampia strategia di sviluppo economico sostenibile, tecnologicamente avanzato, energeticamente efficiente e socialmente inclusivo, nonché capace di dare origine a processi di agglomerazione e di sviluppare forme di connessione reticolare tra unità produttive e tra comparti (ispirandosi, inoltre, a modelli di economia circolare), oltre a fornire un contributo in termini di innovazione tecnologica e attrazione sul territorio di settori ad alta intensità di capitale.

La mancanza di un settore capace di trainare l’economia locale è aggravata dagli ampi divari territoriali riscontrati sul territorio valdostano. Il turismo è infatti un settore che si concentra nell’Alta Montagna, mentre la Media Montagna e la Campagna urbanizzata (dove ha sede un settore agricolo potenzialmente innovativo e dove si hanno i tassi di vecchiaia più bassi d’Italia) si collocano su livelli del valore aggiunto simili ad alcune regioni del Mezzogiorno. Per quanto riguarda il Capoluogo (dove è più alto il livello di senilizzazione della popolazione) è l’amministrazione pubblica il vero traino in termini di valore aggiunto pro-capite. Questa grossolana tripartizione (cui si potrebbe aggiungere la concentrazione industriale della bassa valle) suggerisce una profonda fragilità strutturale, legata alle fratture e alle discontinuità territoriali di una regione dove i salari privati rimangono bassi rispetto alla media nazionale, dove la disoccupazione ha conosciuto una forte accelerata a partire dal 2010-2011 e pare recuperare solo di fronte a un aumento degli inattivi, e dove proprio i settori in crescita durante gli anni passati (il turismo e il settore alberghiero) si trovano ora ad affrontare enormi difficoltà legate all'emergenza sanitaria, unendosi così alle imprese del commercio, dell’agricoltura, delle attività immobiliari e del settore industriale. 

Le difficoltà, tuttavia, sono frutto di un’eredità storica: un’economia dominata dalla piccola e micro impresa, tipicamente sotto-capitalizzata (e quindi incapace a reggere shock improvvisi o prolungati periodi di crisi), dove i salari sono tendenzialmente più bassi, dove i settori ad alto valore aggiunto scarseggiano, dove la produttività ristagna, così come gli investimenti, e dove manca una coerente e lungimirante politica industriale e di sviluppo. In tale contesto di precarietà e frammentazione produttiva non si può immaginare un rafforzamento strutturale del mondo del lavoro: senza un piano di uscita dalle condizioni di valorizzazione capitalistica, le condizioni dei salari e dell’occupazione dipendono dalla capacità del sistema economico di produrre ricchezza e crescita. Il mercato, tuttavia, non è in grado di coordinare un processo virtuoso e generalizzato di sviluppo rispettoso delle persone e dell’ambiente: serve per questo un forte ruolo di strumenti di programmazione e pianificazione pubblica, uniti a sforzi altrettanto consistenti per demercificare e democratizzare il più possibile i processi che coinvolgono l’occupazione e l’organizzazione del lavoro. 

Lo sviluppo di un welfare pubblico inclusivo e non assistenzialista, oltre alla promozione di forme cooperative di impresa (assieme a strumenti di recupero d’impresa e maggiore partecipazione dei lavoratori all’interno delle imprese) e al sostegno e al rafforzamento del terzo settore, vanno coniugati con un piano di investimenti nei settori innovativi e a maggiore prospettiva di sviluppo, di formazione e qualificazione dei lavoratori, di incentivazione di rapporti di lavoro stabili, a tempo indeterminato. La presenza di settori in permanente affanno va a pesare sulla vita di chi in quei settori lavora. Occorre dunque investire sul rafforzamento dei processi di potenziamento effettivo del ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici (che siano autonomi o dipendenti) all’interno di un duplice paradigma: quello della programmazione pubblica degli investimenti e delle principali direttive di sviluppo regionale e quello della maggiore interconnessione e autonomizzazione degli operatori economici (le interconnessioni tra imprese risultano contenute rispetto al dato medio italiano), all’interno di un quadro complessivo dove il sostegno pubblico si coniughi con un potenziamento reale degli attori dello sviluppo locale. 

II. CONTESTO POLITICO 

L’autonomismo rappresenta oggi più che mai una risposta conservatrice e inadeguata, incapace di delineare una via d'uscita coerente e realistica ai problemi e alle fratture sociali emersi durante il lungo decennio di crisi. Per quanto la tendenza conservatrice sia sempre stata un elemento costitutivo della narrazione autonomista, la sua funzione regressiva e difensiva (invece che affermativa) è esacerbata dalla crisi di egemonia che investe il gruppo dirigente dell’Union e i suoi svariati satelliti e contendenti. L’arretramento politico (la compagine autonomista valeva quasi l’80% nel 2013, scendendo al 42% nel 2020) e la perdita di presa ideologica in tempi di ristrettezze finanziarie ne indeboliscono la capacità di controllo del territorio, mentre gli scandali giudiziario-morali ne hanno eroso la credibilità e l’autorevolezza, oltre che l’agibilità politica (in questo senso vanno letti sia i tentativi esterni di minare il ruolo del Presidente-Prefetto, sia quelli di promuovere una legge elettorale presidenzialista). 

Tutti questi “colpi” hanno determinato una involuzione identitaria e una più venale lotta per il potere: da una parte la ricerca di una nuova purezza - in chiave neanche troppo sottilmente etnica - ha portato all’espulsione delle componenti “estranee” (in particolare quelle calabresi, oltre a qualche capro-espiatorio interno) dai propri ranghi, determinando un rischioso divaricamento tra componenti sociali, dall’altra lo scontro tra fazioni ha infittito la frammentazione politica. L’insistenza identitaria, comunque la si voglia declinare, rappresenta un arretramento verso posizioni microsovraniste di chiusura e di rivendicazione di esclusività particolaristica ed escludente. La risposta agli stimoli esterni, sempre visti come potenzialmente minacciosi in quanto disgregatori della “comunità” locale, è sempre illustrata nei termini di un “Noi” coeso e unitario contro un “Loro” definito arbitrariamente. 

La prevalenza del soggetto comunitario sul variegato tessuto sociale rende dunque particolarmente inefficace la risposta politica di fronte alla frammentazione socio-economica determinata dal lungo decennio di crisi. In questo contesto il ruolo della destra è particolarmente preoccupante e trova un inedito terreno fertile. Per decenni gli spazi di agibilità e di rappresentanza della destra (tanto quella moderata quanto quella più radicale) sono stati occupati dalla “balena rossonera” e dalla sua retorica dell’equidistanza opportunistica (ni droite ni gauche) in nome degli interessi locali. Oggi la crisi della classe dirigente autonomista e della sua rispettabilità percepita aprono spazi consistenti per un ricambio del ceto politico e per un ruolo inedito di forze che mai avevano attecchito nell’agone elettorale e nella rappresentanza delle istanze sociali. Sotto questa luce va’ vista la consistente forza acquisita dalla Lega: un processo certamente guidato dalla ribalta nazionale e dall’operazione di trasformazione nazionalista e populista operata da Salvini, ma capace di attecchire in Valle d’Aosta proprio grazie agli spazi lasciati aperti dalla crisi della storica nomenclatura locale. Spazi entro cui un ceto sociale prima sufficientemente tutelato dalla classe dirigente localista, oppure marginalizzato e schiacciato sotto la sua mole (penso alle frazioni superiori delle libere professioni e del commercio), può ora trovare occasioni di rappresentanza e rilevanza, nella lotta per l’accaparramento di risorse scarse e per la rivendicazione di un maggiore peso politico. 

Non vanno certo sottovalutati gli appigli reazionari ed escludenti propri della narrazione etno-redistributiva della Lega salviniana (narrazione che ha trovato peraltro terreno fertile nella retorica comunitaria e identitaria autonomista), ma la rivalsa leghista ha una sua specifica configurazione legata al ricambio della classe dirigente, oltre che alla “questione morale” che investe l’autonomismo valdostano. La frammentazione sociale, l’aumento delle disuguaglianze e i processi di impoverimento relativo di lavoratori e lavoratrici non fanno che creare terreno fertile per un ulteriore radicamento delle istanze populiste di destra. Il centrosinistra valdostano non ha saputo inserirsi adeguatamente in questo processo di scomposizione, mantenendo un profilo subalterno e condizionato ai posizionamenti del mondo autonomista, senza mostrare un profilo autonomo e in grado di imporre al dibattito pubblico e agli alleati di governo temi specifici e distintivi. 

Il Partito democratico è stato travolto dalle inchieste legate alle spese dei gruppi consiliari, dimezzando i propri voti e non riuscendo ad eleggere alcun consigliere nel 2018: un vuoto coperto, a riprova dell’esistenza di un consistente spazio per una proposta progressista, dalla coalizione di Impegno Civico. Una coalizione, tuttavia, particolarmente legata a nomi provenienti dalla diaspora autonomista (con il 30% delle preferenze attribuibili a un solo candidato) e legata ai flussi elettorali in uscita dal centrosinistra locale. Il Partito democratico è oggi riuscito a rientrare in Consiglio regionale solo grazie a un’opportuna politica di alleanze, ma riveste un ruolo minoritario all’interno di un sistema (conflittuale) di rapporti di forza. 

Entro questa dinamica pare esserci spazio potenziale per colmare il vuoto rimasto aperto a sinistra, coltivando una linea alternativa e indipendente che sappia inserirsi negli spazi lasciati aperti dall’assenza sostanziale di una formazione per il Lavoro e per l’Ambiente, di ispirazione antiliberista e di sinistra in Valle d’Aosta. 

III. DALLA PARTE DEL LAVORO 

La composizione sociale della Valle d’Aosta ha conosciuto profondi mutamenti nel tempo, alcuni di questi ancora in via di sviluppo. Nel 2017 il reddito pro-capite e la spesa per consumi delle famiglie non avevano ancora recuperato i livelli del 2007, per un’erosione sostanziale della ricchezza pro-capite. In questo processo di erosione progressiva dei livelli di benessere che avevano storicamente caratterizzato il territorio valdostano, si sono approfonditi i divari interni al mondo del lavoro: le condizioni lavorative sono peggiorate, in linea con la dinamiche di dequalificazione e frammentazione del mondo del lavoro su scala nazionale ed europea. 

Da un lato, sul piano demografico, è diminuita la componente lavorativa delle fasce più giovani, parallelamente all’aumento della quota di lavoratori ultracinquantacinquenni: segno non solo della scelta giovanile di abbandonare, a favore di altre regioni o dell’estero, un mercato locale poco orientato al ricambio generazionale, poco innovativo e caratterizzato da un basso livello di qualificazione, ma anche dell’esistenza di forti barriere all’ingresso, come dimostrato dall’elevato tasso di disoccupazione giovanile (21,7% nel 2019). Dall’altro le condizioni contrattuali e retributive del lavoro sono peggiorate fortemente: aumentano i part-time (+36,5% tra il 2007 e il 2019) e gli avviamenti a tempo determinato (43mila nel 2019, pari all’89% degli avviamenti, 15mila in più rispetto al 2009; nel complesso il lavoro a tempo determinato è cresciuto del 50,7% tra il 2007 e il 2019), con un'incidenza del 18,6% dei lavoratori assunti con contratti a termine e un aumento dei lavoratori irregolari. 

A livello retributivo, inoltre, la Valle d’Aosta è caratterizzata da livelli salariali più bassi della media italiana nel settore privato, segno dell’inadeguatezza della struttura produttiva locale. Tra chi subisce maggiormente questa situazione troviamo i giovani, le donne, gli stranieri, i dipendenti delle micro-imprese. Come se non bastasse, la crisi legata all’emergenza sanitaria ha interrotto i segnali di ripresa dell’occupazione e ha comportato un forte calo degli avviamenti rispetto al 2019. Per quanto riguarda il personale pubblico ha pesato, a partire dal 2012, il blocco del turnover, che ha limitato le assunzioni e ha portato a un calo consistente dei dipendenti pubblici, colpendo in particolar modo gli assunti con contratti flessibili (la cui quota è scesa dal 18 al 6% tra il 2008 e il 2018). La crisi legata all’emergenza sanitaria peserà particolarmente, e in parte ha già pesato, sui lavoratori stagionali, sui lavoratori autonomi (gli indipendenti sono diminuiti del 14,7% tra il 2008 e il 2019, con un particolarmente calo delle lavoratrici indipendenti), sugli addetti del commercio, sui contratti precari e a tempo determinato, sulle donne, sugli stranieri e sui giovani. Molti di questi lavoratori sono concentrati nel settore del turismo, del tempo libero e della ristorazione, tra quelli più colpiti dalle restrizioni legate all’epidemia. 

Il malcontento, la perdita di reddito, l’erosione della sicurezza economica e occupazionale sono dinamiche che si sommano a una crisi di lungo periodo che investe svariati settori dell’economia valdostana. Una disgregazione del tessuto sociale che avviene parallelamente all’erosione dei servizi pubblici territoriali, sempre più carenti, inefficienti e esclusivi. Una tale pressione non può che comportare consistenti cambiamenti, sia a livello della tenuta sociale che a livello di turbolenze del quadro politico (ne è un esempio l’elevato tasso, ormai strutturale, di astensionismo). 

Serve dunque ridare centralità al mondo del lavoro, dando voce e rappresentanza a una soggettività ampia e trasversale che comprenda le componenti tradizionali dell’occupazione dipendente e le nuove identità occupazionali marginalizzate e precarie. Occorre costruire un’alleanza di classe tra il blocco dei lavoratori e lavoratrici della conoscenza, dell’istruzione, del campo socio-sanitario-assistenziale, e le frazioni di classe emergenti, in declino o a rischio di arretramento (oppure quelle che si vedono tarpare le ali dalle attuali - disfunzionali - relazioni di produzione e di potere). Occorre proporre una visione emancipatrice e unificante capace di uscire dalla narrazione dell’assedio e del contrasto tra lavoratori tutelati e non tutelati tipica della destra, costruendo invece legami solidaristici e unitari tra precariato giovanile, dipendenti del ceto medio e della classe popolare, autonomi appartenenti alle fasce relativamente più precarie e subordinate del mondo del lavoro indipendente (lavoratori a progetto, freelance, lavoratori esternalizzati e a monocommittenza, formatori ed educatori), all’interno di un quadro che sappia unire una prospettiva di rilancio economico e una strategia di uscita dalla precarietà e dalla marginalità, e che al contempo privilegi una strada cooperativa e solidaristica intersezionale. 

Servono proposte innovative e realistiche per porre le basi di una tale alleanza sociale: misure per il recupero di impresa, per la riconversione cooperativa delle imprese in fallimento o in difficoltà (in particolare nei settori emergenti), oltre a strumenti per incentivare le alleanze reticolari e consortili tra micro/piccole imprese, misure di incentivazione dei contratti a tempo indeterminato, potenziamento del campo di azione degli operatori di settori emergenti o ad alto potenziale di sviluppo, unitamente a una rivalutazione del ruolo di un welfare universalistico e di un settore pubblico a sostegno dei processi virtuosi ed emancipatori in campo economico e sociale. È necessario coprire il vuoto lasciato da decenni di politiche ciecamente localiste e prive di qualsiasi prospettiva di lungo periodo. 

NOTA A MARGINE - Piccole imprese

La Valle d’Aosta è dominata dalla piccola e micro-impresa (le imprese con 0-9 addetti rappresentano il 95% del totale). Di questo fatto va tenuto conto per la ricerca di analisi e di soluzioni realistiche alle problematiche socio-economiche del territorio. Tuttavia va notato come il valore prodotto dallo 0,1% delle imprese valdostane (4 unità con almeno 250 addetti) sia pari al 25,6% del totale, a cui si potrebbe aggiungere il 13,5% delle imprese con 50-249 addetti (che sono lo 0,5%, cioè 68 unità). Quasi il 40% del valore aggiunto valdostano è prodotto da una settantina di imprese, il restante da oltre 11mila (dati Unioncamere-Sisprint). 

Nota politica: Occorre individuare linee di azione comune che coinvolgano i settori più precari e disgregati del mondo del lavoro, tanto di quello dipendente che di quello autonomo, in un processo di costruzione di rivendicazioni e strategie capaci di ridefinire un blocco progressista politico-sociale fondato sul lavoro. Non vanno trascurati gli elementi della piccola e micro-impresa e del lavoro autonomo disposti ad abbandonare la retorica proprietaria e competitiva in nome di strategie reticolari, mutualistiche e cooperative. 

Nota economica: Le piccole e micro-imprese valdostane si concentrano in particolare nei seguenti settori: imprese artigiane (manifatturiero e costruzioni), del commercio, dell’alloggio e della ristorazione, senza contare le attività professionali e scientifiche. 

Problemi tipici della piccola impresa. In Italia le retribuzioni medie nelle piccole imprese sono poco più della metà di quelle nelle imprese maggiori. Il fenomeno è legato alle caratteristiche proprie della piccola impresa, tenendo anche conto della loro incidenza in settori specifici. Una prevalenza di piccole imprese operanti nel settore dei servizi, dove il valore aggiunto e soprattutto la produttività sono particolarmente bassi, comporta di conseguenza basse retribuzioni (oltre a un maggior numero di ore lavorate, una minore creazione di occupazione, una minore spesa in investimenti) e una sensibilità alla competizione tutta spostata sull’elemento di costo (principalmente del lavoro). 

Il miglioramento delle condizioni del lavoro dipende da dinamiche oggettive, economiche. In un sistema capitalistico i salari dipendono dal processo di accumulazione capitalista. Con ciò occorre, entro i limiti del possibile, tentare di inserirsi nei processi in atto per innescare processi di scala capaci di rispondere ai problemi oggettivi e alle fragilità della piccola impresa. Uno degli esempi storici di come tale salto di scala sia stato realizzato in un contesto di piccole unità produttive è quello dei distretti industriali. Un modello di cui tenere conto ma, allo stesso tempo, da adattare non solo ai tempi nuovi (quelli della digitalizzazione e dell’economia della conoscenza), ma anche a forme nuove e innovative di “socializzazione” della produzione e della ricchezza. Oggi si possono immaginare modelli a rete, forme di cooperazione tra unità imprenditoriali, sistemi mutualistici di sostegno e di welfare per il lavoro autonomo, consorzi di operatori, strumenti di sviluppo pubblico di piattaforme digitali, ecc. 

L’obiettivo comune a tutte queste ipotesi è quello di attivare e rafforzare gli elementi virtuosi presenti nelle piccole imprese (in termini di flessibilità, di creatività, di motivazione, di professionalità) sfruttando al tempo stesso i vantaggi di scala derivanti dai processi di agglomerazione. I vantaggi aggregativi derivanti dalla messa in connessione delle singole unità possono essere di diverso tipo: diffusione delle conoscenze, compartecipazione del rischio, riduzione dei costi, maggiore capitalizzazione e internalizzazione delle imprese, aumento delle risorse disponibili per investimenti, del rafforzamento della forza contrattuale, maggiore capacità di resistenza ai processi di assorbimento da parte delle grandi unità, ma anche inserimento nei circuiti di welfare aziendale, senza contare la possibilità di ridefinire, attraverso una maggiore capacità di pesare nel contesto locale da parte di “culture professionali diffuse”, il ruolo delle politiche pubbliche di sviluppo economico.


Fonti:

- Da una crisi all'altra: economia e società di fronte alla pandemia. Nota sulla situazione economica e sociale della Valle d'Aosta - Anno 2020

- Una ripresa dal passo incerto: segnali positivi, criticità e disomogeneità dei trend. Nota sulla situazione economica e sociale della Valle d'Aosta - Anno 2019 

- Banca d’Italia, Economie regionali, L’economia della Valle d’Aosta, giugno 2011-2020 Ires-Cgil, Analisi economica della Valle d’Aosta, Tendenze di breve periodo, 2019

Share:

La Futura VDA: alcune proposte

aosta politica panorama sinistra
TURISMO ED ECONOMIA DI RETE

La molteplicità di imprese attive nel settore turistico rappresenta certamente un valore aggiunto del turismo valdostano, sia in termini di varietà dell’offerta che di personalizzazione della stessa, ma allo stesso tempo rappresenta anche un indice di fragilità del comparto, vulnerabile alle fluttuazioni di mercato e non provvisto degli strumenti (finanziari e organizzativi) per la condivisione di una visione strategica e per il raggiungimento di obiettivi condivisi. Il turismo valdostano va valorizzato e rafforzato per permettere alle imprese di crescere e stabilizzarsi, e soprattutto per garantire ai lavoratori una migliore e più stabile occupazione.

Serve uno sforzo per la promozione di forme di azione collettiva e di cooperazione:

- tra i rappresentanti di categoria e tra le istituzioni, al fine di favorire lo sviluppo di una strategia condivisa basata sul coordinamento tra gli uffici del turismo (e in generale il settore pubblico)
- tra gli operatori del settore, per un più efficiente impiego delle risorse (da destinare ad esempio a iniziative congiunte di marketing, a pacchetti promozionali, a iniziative condivise come fiere, notti bianche, ecc.).

Occorre quindi sviluppare e promuovere forme di cooperazione tra le imprese del settore (per dividere i costi, per operare congiuntamente e strategicamente sul mercato, per aumentare la capacità di investimento e di stabilizzazione dei lavoratori, per sviluppare nuove funzioni e competenze condivise) e di collaborazione tra livelli istituzionali (per una normativa più coerente e per la promozione e il rafforzamento di forme di associazionismo e rappresentanza che sappiano dare risposte unitarie a problemi simili). 

Per questo pare necessario incentivare e promuovere gli strumenti di messa in rete delle realtà economiche, a seconda del grado di necessità effettiva degli operatori: consorzi, cooperative, contratti di rete e forme di aggregazione di impresa sono strumenti che garantirebbero un aumento delle esternalità positive sul territorio, derivanti da una maggiore capacità di spesa e dalla possibilità di allargare il campo della visione strategica del comparto. 

Andrebbero poi rafforzate le rappresentanze dei lavoratori del settore, creando così gli strumenti per un coinvolgimento effettivo dei lavoratori impegnati nel turismo. A questo proposito occorre integrare gli strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori prevedendo forme di continuità reddituale per i lavoratori stagionali specifiche per la realtà valdostana, da associare a specifici programmi di formazione e riqualificazione per un potenziamento delle competenze dei lavoratori. 

LE IMPRESE IN CRISI? AI LAVORATORI!

È necessario implementare specifici strumenti per mantenere sul territorio l’occupazione e le competenze in caso di crisi aziendali che comportino la chiusura o la delocalizzazione dell’impresa, aumentando il potere dei lavoratori nella gestione e nel controllo delle dinamiche economiche. Per questo occorre mettere a punto una legge regionale sul recupero di impresa da parte dei lavoratori (workers buyout), a partire da quanto previsto dalla legge Marcora 49/85, per la gestione sul territorio valdostano dei fondi statali a supporto delle operazioni per la riconversione cooperativa delle aziende in fallimento e la loro eventuale integrazione tramite programmi specifici. 

La possibilità di esercitare il diritto di prelazione e valutare il recupero dell’impresa da parte dei lavoratori deve essere valutata in ogni procedura fallimentare con il supporto di uno specifico comitato tecnico, e l’opportunità dell’accesso ai fondi per la riconversione deve entrare a far parte delle procedure standard di gestione di ogni crisi aziendale, con lo sviluppo di strumenti di supporto, strutturati su più livelli e in coordinamento tra le varie istituzioni, per il processo di riconversione cooperativa (supporto nelle fasi iniziali di valutazione, supporto per la stesura di un business plan, sostegno nelle fasi di acquisto, supporto per la formazione e riqualificazione dei lavoratori). 

PER UN'ECONOMIA CIRCOLARE E SOSTENIBILE

Occorre promuovere una legge regionale per la promozione dei parchi eco-industriali (per un’economia circolare e sostenibile). Parte dei problemi ambientali dipende dal consumo e stoccaggio dei materiali di risulta dei processi produttivi: molti output delle imprese finiscono col diventare rifiuti, eliminati dal ciclo produttivo. I parchi eco-industriali si basano su tre principi: la minimizzazione dell'utilizzo di energia, l'uso di sottoprodotti dei processi industriali come materia prima e lo sviluppo di un sistema economico resiliente

Il tessuto economico valdostano è composto prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, spesso non integrate tra loro: la promozione di reti di scambio sostenibile tra imprese garantirebbe una strategia volta al potenziamento del settore industriale tramite lo sviluppo di veri e propri cluster specializzati nell’economia circolare e, contemporaneamente, alla riconversione ecologica dello stesso. 

Inoltre la Valle d'Aosta non conosce un settore manifatturiero in grado di trainare lo sviluppo di un indotto locale. L'approccio del parco eco-industriale potrebbe rappresentare una forma di valorizzazione e potenziamento del settore industriale valdostano. Tra i vantaggi potenziali vi sarebbero la riduzione del volume complessivo di rifiuti prodotti, la maggiore efficienza derivante dalla razionalizzazione nello sfruttamento delle risorse, i maggiori vantaggi competitivi legati all'utilizzo dei sottoprodotti in un circuito a km zero, con conseguente risparmio sui costi di trasporto e di smaltimento dei rifiuti, le potenzialità innovative in termini di processo e di prodotto, la crescita di capacità produttiva e di investimento e la creazione di nuova occupazione, oltre che le opportunità di connessione dell'area eco-industriale con il mondo urbano dei servizi, della ricerca e dell'università e il marketing territoriale dei prodotti del parco eco-industriali.

Sono due, in Valle d'Aosta, le aree su cui si potrebbe concentrare l’attenzione: i parchi industriali di Aosta e Pont-Saint-Martin. Le Pépinières d'entreprises avrebbero il compito di coordinare la regia dei processi aggregativi e di rete, promuovendo lo sviluppo di un centro dedicato alle start-up innovative specializzate proprio nel settore dei sistemi di efficientamento energetico, design industriale, recupero e riutilizzo dei materiali

SETTORI INNOVATIVI, INVESTIMENTI, UNIVERSITA'

Un settore economico dinamico e moderno dovrebbe dedicarsi alla promozione dell’insediamento di settori ad alta intensità energetica e a basso impatto ambientale in grado di occupare forza lavoro altamente qualificata (informatica, hi-tech, web, clouding, data center), lavorando all'integrazione sistemica tra queste realtà produttive e il settore dell’alta formazione regionale, favorendo inoltre il ruolo pubblico di Cva in quanto gestore di una risorsa fondamentale per lo sviluppo di scelte industriali con importanti risvolti qualitativi e quantitativi sull'occupazione valdostana.

Per questo occorre riattivare gli investimenti pubblici, che devono essere mirati e condizionati al raggiungimento di obiettivi precisi, guidati da un piano industriale di medio-lungo periodo. 

Complementare allo sviluppo di un'economia moderna e inclusiva è la promozione di un'università generalista legata al rilancio Aosta e allo sviluppo di reti di ricerca e sviluppo con le realtà innovative regionali e extra-regionali. L’università è un nodo cruciale, se pensata come modello per il rilancio della composizione sociale e delle competenze diffuse sul territorio. Un’università in grado di attrarre grandi numeri di studenti (discipline generaliste, ma anche settori ad alto ritorno di investimento), e non piccole nicchie, potrebbe avere un impatto sulla città di Aosta significativo e vivacizzare il tessuto sociale, comportando un flusso e una circolazione di conoscenze potenzialmente attivabili per la crescita locale. È importante, quindi, pensare anche alla connessione dell’università con il mondo delle imprese e conle  strutture di ricerca regionali e extra-regionali.
Share:

La sinistra in VDA: crisi e proposte

sinistra valle daosta elezioni crisi
Premessa
È da tempo che la sinistra valdostana non riesce a inserirsi adeguatamente nella complessiva disgregazione del patto sociale la cui origine può essere situata ad inizio anni Ottanta, dopo che, grazie alla legge sul riparto fiscale, la Regione – per tramite dell’Union Valdôtaine, ma anche del PCI – ha potuto disporre di un ammontare crescente e apparentemente illimitato di risorse finanziarie.
Il venir meno del collante della spesa regionale ha minato l’alleanza sociale tra ceto politico, dirigenti, dipendenti pubblici in esodo dall’industria in crisi, professionisti, imprese delle costruzioni e notabilato cittadino (avvocati, notai, ecc.), il che ha comportato una lotta intestina al ceto autonomista da cui sono emerse fratture non più componibili per mezzo della spesa a pioggia a disponibilità illimitata. I conflitti si sono fatti insanabili, non permettendo più di soddisfare le richieste delle varie componenti sociali e gestire i conseguenti rapporti clientelari tra i portavoce delle diverse istanze e gli assessorati, comportando così conflitti distributivi che hanno avuto il loro riflesso nella lotta politica.
Share:

Problemi e prospettive dell'industria valdostana

cogne acciai speciali aosta
Invece di essere un sistema locale a sé stante, cioè un luogo caratterizzato da autonomia d'azione da parte dei soggetti insediati in esso, nel nome della condivisione di un progetto di sviluppo (e non ambito di ruoli predefiniti e fissati da una qualche autorità superiore), la Valle d'Aosta non è riuscita ad affrancarsi dal ruolo, già stigmatizzato da Massimo Lévêque negli anni Ottanta, di “area periferica” di altri sistemi locali. Questo significa che gli attori che hanno guidato la riconversione industriale durante gli anni Ottanta e Novanta (in particolare l'Amministrazione regionale), non hanno saputo innescare significativi processi di agglomerazione territoriale delle attività produttive.

Il periodo che procede dalla crisi industriale di fine anni Settanta ai tentativi di ristrutturazione susseguitisi fino a oggi, è stato caratterizzato, usando le categorie analitiche di Giuseppe Dematteis, da una territorializzazione delle attività industriali di tipo “passivo”: l'attore pubblico ha agito come “controllore” delle pratiche territoriali, la pianificazione territoriale è stata quindi una “regolazione autoritativa” calata dall'alto verso il basso, mentre i soggetti locali hanno avuto poca autonomia, finendo con l'avere un ruolo ridotto nella definizione dei processi di sviluppo locale. Se si considerano poi i casi degli impianti legati a gruppi esterni (come la Conner, la Tecdis, le imprese dell'indotto Olivetti), l'idea del territorio valdostano come mero supporto delle attività economiche pare rafforzarsi.
Share:

Valle d'Aosta: tra crisi politica e crisi economico-sociale

Il labirinto politico valdostano
Tutto inizia con la sfiducia al Presidente Augusto Rollandin nel marzo 2017: la coalizione unionista (di cui fa parte anche il PD) finisce in minoranza, portando Pierluigi Marquis a guidare una nuova maggioranza formata da Stella Alpina, Union Valdôtaine Progressiste, Alpe e Pour Notre Vallée (fronda scissionista guidata dagli ex-unionisti Antonio Fosson e Claudio Restano). La maggioranza di 18 consiglieri su 35 è strettissima e instabile, riflettendo la situazione del maggio 2013, per un canovaccio che diventerà leitmotiv della politica valdostana nei mesi a venire. Nel giro di poco tempo si ha infatti l'ennesimo ribaltone, con l'UVP che rientra nei ranghi ed esprime Laurent Viérin come Presidente di una Giunta sostenuta da UV, PD e EPAV (forza nata dalla spaccatura di Stella Alpina dopo la sfiducia a Rollandin). Le ritrovate intese durano poco, perché le elezioni Regionali del giugno 2018 portano la Lega di Nicoletta Spelgatti a sbaragliare il primato degli autonomisti (che governavano incontrastati da decenni). La nuova Giunta vede riuniti, assieme alla Lega, Stella Alpina-Pour Notre Vallée, MOUV (movimento nato nel 2017 da alcuni scontenti della piega presa dall'UVP, che nel 2016 era rientrata nei ranghi della maggioranza UV), Alpe e l'indipendente Emily Rini, fuoriuscita dall'Union. Anche in questo caso la nuova compagine ha vita breve: a dicembre UV, UVP, Alpe e SA sfiduciano la maggioranza per l'ennesimo rimpasto, con Antonio Fosson (PNV) come Presidente della Regione.

Politicamente, la logica delle divisioni appare oggi aver prodotto il risultato di un sistema dove ogni forza è utile ma non indispensabile per gli equilibri generali: nessuno è dotato di una forza schiacciante, ma ognuno è in grado di fare da ago della bilancia. L'indebolimento dell'Union ha proiettato all'esterno i conflitti che prima tendevano a restare interni: la frammentazione della galassia autonomista (caratterizzata da un conflitto altamente personalistico, più che da un contrasto tra progettualità e visioni differenti) rappresenterà con tutta probabilità il nodo gordiano delle future relazioni politiche. Elemento inatteso, invece, quello del rampante leghismo nostrano, che ha tutte le carte in regola per diventare la forza politica regionale preponderante (mentre il ruolo del M5S appare molto più precario e legato a dinamiche d’opinione nazionali).
La mia idea è però che la crisi delle classi dirigenti valdostane abbia determinanti non esauribili nell'analisi prettamente politica, derivando piuttosto dalla profonda crisi economico-sociale che ha investito la regione a partire dal 2011.

Crisi economica e consenso: un'ipotesi
Perché nel 2011? La Valle d'Aosta ha goduto, a partire dalla legge sul riparto fiscale del 1981, di un'autonomia finanziaria capace di garantire un afflusso apparentemente inesauribile di risorse nelle casse regionali, anche dopo la sospensione dell'importo derivante dall'Iva da importazione a causa dell'abolizione delle tariffe doganali sugli scambi europei (Piccinno, 2015). Nel 2011, però, la revisione dell'ordinamento finanziario regionale in ottemperanza alla legge 42/2009 sul federalismo fiscale, ha comportato una consistente riduzione delle risorse disponibili a causa di due importanti provvedimenti che si sono intrecciati alla crisi economica: la cessazione dell'importo sostitutivo dell'IVA da importazione (una riduzione progressiva fino alla soppressione nel 2017) e i vari contributi al risanamento della finanza pubblica (si veda Vesan, 2012). La fortissima compressione dei bilanci regionali (stimata in un saldo negativo tra minori trasferimenti statali e le nuove entrate da tributi propri di 1,82 miliardi di euro tra il 2011 e il 2017) ha ingolfato un motore che, a partire dagli anni Ottanta, aveva puntato tutto su una gestione piuttosto spensierata dell'immensa disponibilità finanziaria.

L'impatto di queste misure, questa è la mia ipotesi, è stato di esacerbare il conflitto politico: se storicamente i contrasti erano stati meno laceranti, ora la composizione dei vari interessi in seno alla classe politica risulta decisamente più complessa da gestire. La minore disponibilità finanziaria impedisce alle varie richieste provenienti dalla società di trovare canali politici di espressione (e viceversa), generando così frizioni tra assessorati in progressivo affanno, in una continua lotta per accaparrarsi risorse in grado di mantenere importanti pacchetti di voti. La crisi economica è immediatamente crisi politica, perché il legame che unisce classe politica autonomista e società civile è ormai da tempo diventato direttamente economico: venendo meno le risorse finanziarie per sostenere le istanze delle diverse categorie non si è potuto far leva su un richiamo "valoriale" e ideologico (quello delle tradizioni, della comunità locale, della particolarità etnica e linguistica), rendendo evidente la natura non egemonica della classe dirigente locale.

La crisi economica non ha fatto che gettare benzina sul fuoco: di fronte a un collasso drammatico del settore delle costruzioni legato a filo diretto alla minore disponibilità di spesa regionale (oltre che a riforme europee in materia di appalti) e a una crescita della disoccupazione e dei contratti precari, il sistema Valle d'Aosta si trova a fare i conti con problemi di lungo periodo mai risolti, dalla dimensione delle unità produttive alla limitata diffusione dell'innovazione e delle funzioni superiori di impresa (Cambiamenti e continuità nella società valdostana, 2013). Contemporaneamente, i settori più dinamici (il settore metallurgico, ma anche quello alimentare e turistico) sembrano più capaci di reagire di fronte al minor sostegno della Regione per affidarsi alla ripresa degli scambi con l'estero, nonostante il dimezzamento delle quote di mercato mondiale delle esportazioni valdostane tra il 2007 e il 2016 (Banca d'Italia, Economie regionali, 2018).

Spunti per un'analisi
Se da un lato, quindi, alcuni settori paiono relativamente meno dipendenti (anche solo potenzialmente) dal ruolo della spesa regionale, altri invece percepiscono con particolare urgenza e disaffezione la mancata "presa in carico" da parte della politica locale (penso a parte del settore agricolo, commerciale a artigiano, al comparto dell’industria manifatturiera, ai professionisti legati all'indotto regionale, agli allevatori, o agli stessi dipendenti regionali, che hanno subito il progressivo calo della spesa corrente). Sarebbero da approfondire e verificare quindi gli effetti centrifughi generati sia dalle richieste di maggiore autonomia della classe imprenditrice dal modello di "integrazione" politico-economica regionale, sia dalle istanze disattese e trascurate di parte del tessuto socio-economico valdostano, oltre che dall’interesse di rastrellamento di asset pubblici tramite liberalizzazioni e privatizzazioni. L'ipotesi è che il futuro della Valle d'Aosta sarà segnato da una serie di mutazioni del consenso di natura strutturale, portando a un'accresciuta conflittualità politica non facilmente gestibile dalle élite storiche dell'autonomismo locale, incapaci di ricomporre gli interessi nel quadro dell’attuale assetto politico-istituzionale.

Share: