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Caro Giovanni (una lettera)


Caro Giovanni Lindo Ferretti, 

sono uno dei tanti che, da anni, ascolta la tua musica, segue il tuo percorso pubblico e accoglie le tue riflessioni con interesse (e, devo dire, con una certa apprensione). Mi sono chiesto sovente il perché: solitamente non concedo tutta questa rilevanza alle dichiarazioni degli “artisti”, e tendo a separare l’oggetto artistico dalla persona che lo produce. Credo che alla base di questo ci sia la convinzione (o il pregiudizio) che l’artista sia una creatura insopportabilmente vanitosa che, confondendo il proprio talento con la prova di possedere una sensibilità superiore, corra sempre il rischio di dire banalità confondendole per oro. Le tue parole, invece, hanno un insolito peso specifico ed è come se mi riguardassero direttamente. Ho il sospetto che questo effetto non sia del tutto casuale. Immagino che tu abbia imparato a comunicare adeguatamente con un pubblico fatto di persone che non conosci ma che hanno sviluppato una sorta di indebito rapporto intimo con la tua figura, nel bene e nel male (c’è chi ti scomunica e chi ti razionalizza, chi ti sconfessa e chi ti capisce, tutti ti interpretano). Addirittura chi scrive su di te finisce con lo scrivere come te. È come se il Lindo Ferretti pubblico che, nella musica e nelle interviste, parla del Lindo Ferretti privato, sia il frutto di un dosaggio cosciente: mi sfugge sempre un sorriso quando parli recitando i tuoi stessi aforismi. Tutto questo, però, mi pare che tu lo faccia senza mai abbandonarti all’autoillusione: il mea culpa, il richiamo alla vanità, l’autodafé, testimoniano un confine, un limite consapevole tra essenza e rappresentazione. È così? 

Allo stesso tempo, però, il palco, la telecamera, il microfono, la pagina, sono anche occasioni di testimonianza. In questo, forse, sta la problematicità della tua figura pubblica: se molti si illudono che possa esistere un’assenza di mediazione tra palco e pubblico, tu dai l’impressione di essere cosciente di ciò che si frappone tra i due piani. Questo crea una tensione, un’attenzione particolare nella scelta dei toni e delle parole (lo noto sia nelle tue canzoni sia nelle tue dichiarazioni) che induce chi legge o ascolta a mettersi alla ricerca di segni, di significati (che forse non ci sono). Mi chiedo se le mie siano speculazioni oppure facciano parte anche delle tue riflessioni. Certamente sei consapevole dell’esistenza di un interesse nei tuoi confronti, e trovo interessante immaginare quali siano i confini che tu ti sei (im)posto per gestire questo aspetto della vita: l’essere di rilievo per gli altri. 

Fatte queste premesse ti confesso che trovo piuttosto ambigua la tua critica alla modernità: da un lato perché è romantica e ideologica (il passato è visto come dominato da una regola armonizzante, capace di alleggerire anche la brutalità), dall'altro perché integra elementi che stonano sia con la tua dichiarata volontà di raccoglimento (mi riferisco al rumoroso e violento baraccone politico della destra identitaria), sia con il tuo prestare il fianco alla retorica di questa nuova destra, appiattita sulla brandizzazione - cosa tutt'altro che mistica - dei valori tradizionali. 

La modernità, in fondo, non si contrappone nettamente alla tradizione, se non quando diviene essa stessa bandiera ideologica. Direi piuttosto che la modernità è la tradizione lasciata libera di camminare. Chi invece vuole fissare la tradizione in normatività ne blocca ogni spinta genuina e autentica. La consapevolezza della grettezza della contemporaneità non dovrebbe essere la scusa per volerla costringere in forme sformate. Non ne faccio una questione di coscienza, che come tale è e deve rimanere libera (e questa, credo, è una delle conquiste più alte del pensiero laico e liberale). Ne faccio una questione di integrità e coerenza: chi crede che l’identità urlata, semplificata, categorizzata sia la soluzione ai mali del mondo non fa altro che plasmare un feticcio di ciò che potrebbe essere più alto, più bello, più vero di com'è. E che verità c’è se l’identità è costrizione, coercizione, confronto brutale e asfittico, mimesi grossolana e conformista? Per questo non vedo nella Meloni (nella politica Meloni) un esempio di virtù: semmai riconosco la sua creatività nel rimasticare vecchi adagi con parole nuove (ritorniamo all'ego degli artisti, quindi). Ma che virtù c’è nel dissimulare, nel non parlare chiaro, nel mettersi al servizio di forze che compattano e schiacciano ciò che invece dovrebbe potersi dispiegare? Che virtù c’è nel mettere al centro dello scontro ideologico questioni private (come la maternità, la fede?) facendone slogan pubblicitari? Che virtù c’è nell'asserragliarsi nella difensiva rabbiosa dell’animale che si sente in trappola? Forse qualcuno impedisce a questi orfani dei bei vecchi tempi andati di dire, fare e credere ciò che vogliono? 

Prima scrivevo che è come se le tue parole mi riguardassero direttamente, ma in fondo il punto è che riguardano direttamente la generazione di cui faccio parte (che è una generazione estesa, direi storica più che anagrafica), una generazione che vive con sconcerto e disorientamento il crollo del Novecento e che non vuol limitarsi a registrarlo o assumerlo su di sé come il peccato originale. Per questo alcune parole toccano la carne viva: perché paiono assecondare lo svilimento della riflessione e la negazione della forza vitale delle possibilità insite in questo pur contraddittorio navigare a vista nel presente. 

 …Ma sono piccole cose, in fondo, quelle della politica. Era da molto che volevo scriverti, anche solo per manifestarti la mia stima, e spero che le mie divagazioni non ti abbiano dato troppa noia. Un abbraccio e un augurio, 
Matteo
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Valle d'Aosta: dieci anni costituenti


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INTRODUZIONE 

Il lungo decennio 2007-2020 ha inaugurato una nuova fase di carattere economico e politico per la Valle d'Aosta, durante la quale sono crollate le fondamenta del quarantennale consenso politico unionista ed è mutato irreversibilmente il tessuto socio-economico valdostano. La crisi finanziaria prima e quella dei debiti sovrani poi hanno determinato l’ulteriore marginalizzazione del territorio valdostano, già duramente compromesso dalla ristrutturazione degli anni Settanta e Ottanta. Una fase, quella, attutita dalla legge sul riparto fiscale e dal conseguente afflusso “illimitato” di risorse finanziarie, capaci di ammortizzare gli effetti altrimenti devastanti della crisi dell’industria: nonostante la continua deindustrializzazione e desertificazione produttiva del territorio, la Valle d’Aosta ha conosciuto decenni di stabilità grazie al patto sociale clientelare-assistenzialista della classe dirigente unionista (oltre che dei suoi satelliti). 

Un patto che non ha coinvolto tutte le categorie economiche, ma che ha saputo consolidare un blocco di interessi solido e fidelizzato, fondato anche, come hanno dimostrato le recenti inchieste giudiziarie, sui rapporti di lungo periodo con esponenti della criminalità organizzata. La fase attuale si apre invece con la riforma del federalismo fiscale e la legge di stabilità del 2011, che hanno comportato il ridimensionamento della disponibilità finanziaria della regione, con la soppressione della compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto. Nonostante un bilancio relativamente alto e un livello di spesa pro-capite tra i maggiori d’Italia (sebbene in calo), la nuova configurazione normativa (nazionale e comunitaria) impone una più oculata razionalizzazione delle risorse e una minore discrezionalità in merito al loro impiego. Si sono così incrinate irrimediabilmente le condizioni di stabilità dell’assetto politico, a sua volta condizionato da problemi interni (l’incapacità di esprimere un ricambio della classe dirigente e una credibile proposta di sviluppo) e infine delegittimato dalle indagini sull’utilizzo dei fondi dei gruppi consiliari e, soprattutto, dal terremoto delle inchieste sul radicamento della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. 

La frammentazione estrema della politica valdostana poggia le sue basi nel più ampio processo di scomposizione politico-economica e di ininterrotti scandali giudiziari. La crisi legata alla pandemia, nonostante un precario effetto politico di ricompattamento attorno alle forze moderate, non ha fatto che inasprire le tendenze di lungo corso, pesando su un’economia sempre più precaria e su lavoratori e lavoratrici sempre più confinati in settori a basso reddito e a scarse tutele. Nel frattempo, però, corpi “estranei” al contesto valdostano si sono sviluppati e rafforzati nutrendosi sia di parte dell’elettorato autonomista che di quello moderato-progressista, sia di fasce finora ininfluenti o marginali da un punto di vista politico (si consideri, in questo senso, la fugace scalata del M5S e il più consistente consolidamento della Lega). 

Ci troviamo a vivere in una crisi costituente, che intercetta e declina la più ampia e secolare crisi del capitalismo neoliberale, la quale determina fratture profonde negli equilibri delle democrazie liberali occidentali, funestate da rigurgiti reazionari, tendenze oscurantiste e spinte disgregative. Si apre, però, un campo di possibilità. È in questo campo che occorre trovare le condizioni per una svolta progressista ed emancipativa. 

I. CONTESTO ECONOMICO 

La Valle d’Aosta è da tempo una realtà post-industriale, per quanto esistano poli di specializzazione e importanti realtà storicamente consolidate. In un contesto caratterizzato, tra il 2007 e il 2019, da una riduzione del numero delle imprese pari al -14,5%, il settore industriale ha perso numerosi posti di lavoro (20,4% tra il 2008 e il 2019), dinamica confermata da una contrazione delle attività manifatturiere pari al -1,1% nel 2019 e esacerbata dalla crisi del comparto delle costruzioni (che ha conosciuto una perdita occupazionale del 34%). Non è tuttavia immaginabile l’abbandono di una strategia di rilancio del settore secondario, che deve essere ristrutturato e ammodernato, e che deve essere incluso in una più ampia strategia di sviluppo economico sostenibile, tecnologicamente avanzato, energeticamente efficiente e socialmente inclusivo, nonché capace di dare origine a processi di agglomerazione e di sviluppare forme di connessione reticolare tra unità produttive e tra comparti (ispirandosi, inoltre, a modelli di economia circolare), oltre a fornire un contributo in termini di innovazione tecnologica e attrazione sul territorio di settori ad alta intensità di capitale.

La mancanza di un settore capace di trainare l’economia locale è aggravata dagli ampi divari territoriali riscontrati sul territorio valdostano. Il turismo è infatti un settore che si concentra nell’Alta Montagna, mentre la Media Montagna e la Campagna urbanizzata (dove ha sede un settore agricolo potenzialmente innovativo e dove si hanno i tassi di vecchiaia più bassi d’Italia) si collocano su livelli del valore aggiunto simili ad alcune regioni del Mezzogiorno. Per quanto riguarda il Capoluogo (dove è più alto il livello di senilizzazione della popolazione) è l’amministrazione pubblica il vero traino in termini di valore aggiunto pro-capite. Questa grossolana tripartizione (cui si potrebbe aggiungere la concentrazione industriale della bassa valle) suggerisce una profonda fragilità strutturale, legata alle fratture e alle discontinuità territoriali di una regione dove i salari privati rimangono bassi rispetto alla media nazionale, dove la disoccupazione ha conosciuto una forte accelerata a partire dal 2010-2011 e pare recuperare solo di fronte a un aumento degli inattivi, e dove proprio i settori in crescita durante gli anni passati (il turismo e il settore alberghiero) si trovano ora ad affrontare enormi difficoltà legate all'emergenza sanitaria, unendosi così alle imprese del commercio, dell’agricoltura, delle attività immobiliari e del settore industriale. 

Le difficoltà, tuttavia, sono frutto di un’eredità storica: un’economia dominata dalla piccola e micro impresa, tipicamente sotto-capitalizzata (e quindi incapace a reggere shock improvvisi o prolungati periodi di crisi), dove i salari sono tendenzialmente più bassi, dove i settori ad alto valore aggiunto scarseggiano, dove la produttività ristagna, così come gli investimenti, e dove manca una coerente e lungimirante politica industriale e di sviluppo. In tale contesto di precarietà e frammentazione produttiva non si può immaginare un rafforzamento strutturale del mondo del lavoro: senza un piano di uscita dalle condizioni di valorizzazione capitalistica, le condizioni dei salari e dell’occupazione dipendono dalla capacità del sistema economico di produrre ricchezza e crescita. Il mercato, tuttavia, non è in grado di coordinare un processo virtuoso e generalizzato di sviluppo rispettoso delle persone e dell’ambiente: serve per questo un forte ruolo di strumenti di programmazione e pianificazione pubblica, uniti a sforzi altrettanto consistenti per demercificare e democratizzare il più possibile i processi che coinvolgono l’occupazione e l’organizzazione del lavoro. 

Lo sviluppo di un welfare pubblico inclusivo e non assistenzialista, oltre alla promozione di forme cooperative di impresa (assieme a strumenti di recupero d’impresa e maggiore partecipazione dei lavoratori all’interno delle imprese) e al sostegno e al rafforzamento del terzo settore, vanno coniugati con un piano di investimenti nei settori innovativi e a maggiore prospettiva di sviluppo, di formazione e qualificazione dei lavoratori, di incentivazione di rapporti di lavoro stabili, a tempo indeterminato. La presenza di settori in permanente affanno va a pesare sulla vita di chi in quei settori lavora. Occorre dunque investire sul rafforzamento dei processi di potenziamento effettivo del ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici (che siano autonomi o dipendenti) all’interno di un duplice paradigma: quello della programmazione pubblica degli investimenti e delle principali direttive di sviluppo regionale e quello della maggiore interconnessione e autonomizzazione degli operatori economici (le interconnessioni tra imprese risultano contenute rispetto al dato medio italiano), all’interno di un quadro complessivo dove il sostegno pubblico si coniughi con un potenziamento reale degli attori dello sviluppo locale. 

II. CONTESTO POLITICO 

L’autonomismo rappresenta oggi più che mai una risposta conservatrice e inadeguata, incapace di delineare una via d'uscita coerente e realistica ai problemi e alle fratture sociali emersi durante il lungo decennio di crisi. Per quanto la tendenza conservatrice sia sempre stata un elemento costitutivo della narrazione autonomista, la sua funzione regressiva e difensiva (invece che affermativa) è esacerbata dalla crisi di egemonia che investe il gruppo dirigente dell’Union e i suoi svariati satelliti e contendenti. L’arretramento politico (la compagine autonomista valeva quasi l’80% nel 2013, scendendo al 42% nel 2020) e la perdita di presa ideologica in tempi di ristrettezze finanziarie ne indeboliscono la capacità di controllo del territorio, mentre gli scandali giudiziario-morali ne hanno eroso la credibilità e l’autorevolezza, oltre che l’agibilità politica (in questo senso vanno letti sia i tentativi esterni di minare il ruolo del Presidente-Prefetto, sia quelli di promuovere una legge elettorale presidenzialista). 

Tutti questi “colpi” hanno determinato una involuzione identitaria e una più venale lotta per il potere: da una parte la ricerca di una nuova purezza - in chiave neanche troppo sottilmente etnica - ha portato all’espulsione delle componenti “estranee” (in particolare quelle calabresi, oltre a qualche capro-espiatorio interno) dai propri ranghi, determinando un rischioso divaricamento tra componenti sociali, dall’altra lo scontro tra fazioni ha infittito la frammentazione politica. L’insistenza identitaria, comunque la si voglia declinare, rappresenta un arretramento verso posizioni microsovraniste di chiusura e di rivendicazione di esclusività particolaristica ed escludente. La risposta agli stimoli esterni, sempre visti come potenzialmente minacciosi in quanto disgregatori della “comunità” locale, è sempre illustrata nei termini di un “Noi” coeso e unitario contro un “Loro” definito arbitrariamente. 

La prevalenza del soggetto comunitario sul variegato tessuto sociale rende dunque particolarmente inefficace la risposta politica di fronte alla frammentazione socio-economica determinata dal lungo decennio di crisi. In questo contesto il ruolo della destra è particolarmente preoccupante e trova un inedito terreno fertile. Per decenni gli spazi di agibilità e di rappresentanza della destra (tanto quella moderata quanto quella più radicale) sono stati occupati dalla “balena rossonera” e dalla sua retorica dell’equidistanza opportunistica (ni droite ni gauche) in nome degli interessi locali. Oggi la crisi della classe dirigente autonomista e della sua rispettabilità percepita aprono spazi consistenti per un ricambio del ceto politico e per un ruolo inedito di forze che mai avevano attecchito nell’agone elettorale e nella rappresentanza delle istanze sociali. Sotto questa luce va’ vista la consistente forza acquisita dalla Lega: un processo certamente guidato dalla ribalta nazionale e dall’operazione di trasformazione nazionalista e populista operata da Salvini, ma capace di attecchire in Valle d’Aosta proprio grazie agli spazi lasciati aperti dalla crisi della storica nomenclatura locale. Spazi entro cui un ceto sociale prima sufficientemente tutelato dalla classe dirigente localista, oppure marginalizzato e schiacciato sotto la sua mole (penso alle frazioni superiori delle libere professioni e del commercio), può ora trovare occasioni di rappresentanza e rilevanza, nella lotta per l’accaparramento di risorse scarse e per la rivendicazione di un maggiore peso politico. 

Non vanno certo sottovalutati gli appigli reazionari ed escludenti propri della narrazione etno-redistributiva della Lega salviniana (narrazione che ha trovato peraltro terreno fertile nella retorica comunitaria e identitaria autonomista), ma la rivalsa leghista ha una sua specifica configurazione legata al ricambio della classe dirigente, oltre che alla “questione morale” che investe l’autonomismo valdostano. La frammentazione sociale, l’aumento delle disuguaglianze e i processi di impoverimento relativo di lavoratori e lavoratrici non fanno che creare terreno fertile per un ulteriore radicamento delle istanze populiste di destra. Il centrosinistra valdostano non ha saputo inserirsi adeguatamente in questo processo di scomposizione, mantenendo un profilo subalterno e condizionato ai posizionamenti del mondo autonomista, senza mostrare un profilo autonomo e in grado di imporre al dibattito pubblico e agli alleati di governo temi specifici e distintivi. 

Il Partito democratico è stato travolto dalle inchieste legate alle spese dei gruppi consiliari, dimezzando i propri voti e non riuscendo ad eleggere alcun consigliere nel 2018: un vuoto coperto, a riprova dell’esistenza di un consistente spazio per una proposta progressista, dalla coalizione di Impegno Civico. Una coalizione, tuttavia, particolarmente legata a nomi provenienti dalla diaspora autonomista (con il 30% delle preferenze attribuibili a un solo candidato) e legata ai flussi elettorali in uscita dal centrosinistra locale. Il Partito democratico è oggi riuscito a rientrare in Consiglio regionale solo grazie a un’opportuna politica di alleanze, ma riveste un ruolo minoritario all’interno di un sistema (conflittuale) di rapporti di forza. 

Entro questa dinamica pare esserci spazio potenziale per colmare il vuoto rimasto aperto a sinistra, coltivando una linea alternativa e indipendente che sappia inserirsi negli spazi lasciati aperti dall’assenza sostanziale di una formazione per il Lavoro e per l’Ambiente, di ispirazione antiliberista e di sinistra in Valle d’Aosta. 

III. DALLA PARTE DEL LAVORO 

La composizione sociale della Valle d’Aosta ha conosciuto profondi mutamenti nel tempo, alcuni di questi ancora in via di sviluppo. Nel 2017 il reddito pro-capite e la spesa per consumi delle famiglie non avevano ancora recuperato i livelli del 2007, per un’erosione sostanziale della ricchezza pro-capite. In questo processo di erosione progressiva dei livelli di benessere che avevano storicamente caratterizzato il territorio valdostano, si sono approfonditi i divari interni al mondo del lavoro: le condizioni lavorative sono peggiorate, in linea con la dinamiche di dequalificazione e frammentazione del mondo del lavoro su scala nazionale ed europea. 

Da un lato, sul piano demografico, è diminuita la componente lavorativa delle fasce più giovani, parallelamente all’aumento della quota di lavoratori ultracinquantacinquenni: segno non solo della scelta giovanile di abbandonare, a favore di altre regioni o dell’estero, un mercato locale poco orientato al ricambio generazionale, poco innovativo e caratterizzato da un basso livello di qualificazione, ma anche dell’esistenza di forti barriere all’ingresso, come dimostrato dall’elevato tasso di disoccupazione giovanile (21,7% nel 2019). Dall’altro le condizioni contrattuali e retributive del lavoro sono peggiorate fortemente: aumentano i part-time (+36,5% tra il 2007 e il 2019) e gli avviamenti a tempo determinato (43mila nel 2019, pari all’89% degli avviamenti, 15mila in più rispetto al 2009; nel complesso il lavoro a tempo determinato è cresciuto del 50,7% tra il 2007 e il 2019), con un'incidenza del 18,6% dei lavoratori assunti con contratti a termine e un aumento dei lavoratori irregolari. 

A livello retributivo, inoltre, la Valle d’Aosta è caratterizzata da livelli salariali più bassi della media italiana nel settore privato, segno dell’inadeguatezza della struttura produttiva locale. Tra chi subisce maggiormente questa situazione troviamo i giovani, le donne, gli stranieri, i dipendenti delle micro-imprese. Come se non bastasse, la crisi legata all’emergenza sanitaria ha interrotto i segnali di ripresa dell’occupazione e ha comportato un forte calo degli avviamenti rispetto al 2019. Per quanto riguarda il personale pubblico ha pesato, a partire dal 2012, il blocco del turnover, che ha limitato le assunzioni e ha portato a un calo consistente dei dipendenti pubblici, colpendo in particolar modo gli assunti con contratti flessibili (la cui quota è scesa dal 18 al 6% tra il 2008 e il 2018). La crisi legata all’emergenza sanitaria peserà particolarmente, e in parte ha già pesato, sui lavoratori stagionali, sui lavoratori autonomi (gli indipendenti sono diminuiti del 14,7% tra il 2008 e il 2019, con un particolarmente calo delle lavoratrici indipendenti), sugli addetti del commercio, sui contratti precari e a tempo determinato, sulle donne, sugli stranieri e sui giovani. Molti di questi lavoratori sono concentrati nel settore del turismo, del tempo libero e della ristorazione, tra quelli più colpiti dalle restrizioni legate all’epidemia. 

Il malcontento, la perdita di reddito, l’erosione della sicurezza economica e occupazionale sono dinamiche che si sommano a una crisi di lungo periodo che investe svariati settori dell’economia valdostana. Una disgregazione del tessuto sociale che avviene parallelamente all’erosione dei servizi pubblici territoriali, sempre più carenti, inefficienti e esclusivi. Una tale pressione non può che comportare consistenti cambiamenti, sia a livello della tenuta sociale che a livello di turbolenze del quadro politico (ne è un esempio l’elevato tasso, ormai strutturale, di astensionismo). 

Serve dunque ridare centralità al mondo del lavoro, dando voce e rappresentanza a una soggettività ampia e trasversale che comprenda le componenti tradizionali dell’occupazione dipendente e le nuove identità occupazionali marginalizzate e precarie. Occorre costruire un’alleanza di classe tra il blocco dei lavoratori e lavoratrici della conoscenza, dell’istruzione, del campo socio-sanitario-assistenziale, e le frazioni di classe emergenti, in declino o a rischio di arretramento (oppure quelle che si vedono tarpare le ali dalle attuali - disfunzionali - relazioni di produzione e di potere). Occorre proporre una visione emancipatrice e unificante capace di uscire dalla narrazione dell’assedio e del contrasto tra lavoratori tutelati e non tutelati tipica della destra, costruendo invece legami solidaristici e unitari tra precariato giovanile, dipendenti del ceto medio e della classe popolare, autonomi appartenenti alle fasce relativamente più precarie e subordinate del mondo del lavoro indipendente (lavoratori a progetto, freelance, lavoratori esternalizzati e a monocommittenza, formatori ed educatori), all’interno di un quadro che sappia unire una prospettiva di rilancio economico e una strategia di uscita dalla precarietà e dalla marginalità, e che al contempo privilegi una strada cooperativa e solidaristica intersezionale. 

Servono proposte innovative e realistiche per porre le basi di una tale alleanza sociale: misure per il recupero di impresa, per la riconversione cooperativa delle imprese in fallimento o in difficoltà (in particolare nei settori emergenti), oltre a strumenti per incentivare le alleanze reticolari e consortili tra micro/piccole imprese, misure di incentivazione dei contratti a tempo indeterminato, potenziamento del campo di azione degli operatori di settori emergenti o ad alto potenziale di sviluppo, unitamente a una rivalutazione del ruolo di un welfare universalistico e di un settore pubblico a sostegno dei processi virtuosi ed emancipatori in campo economico e sociale. È necessario coprire il vuoto lasciato da decenni di politiche ciecamente localiste e prive di qualsiasi prospettiva di lungo periodo. 

NOTA A MARGINE - Piccole imprese

La Valle d’Aosta è dominata dalla piccola e micro-impresa (le imprese con 0-9 addetti rappresentano il 95% del totale). Di questo fatto va tenuto conto per la ricerca di analisi e di soluzioni realistiche alle problematiche socio-economiche del territorio. Tuttavia va notato come il valore prodotto dallo 0,1% delle imprese valdostane (4 unità con almeno 250 addetti) sia pari al 25,6% del totale, a cui si potrebbe aggiungere il 13,5% delle imprese con 50-249 addetti (che sono lo 0,5%, cioè 68 unità). Quasi il 40% del valore aggiunto valdostano è prodotto da una settantina di imprese, il restante da oltre 11mila (dati Unioncamere-Sisprint). 

Nota politica: Occorre individuare linee di azione comune che coinvolgano i settori più precari e disgregati del mondo del lavoro, tanto di quello dipendente che di quello autonomo, in un processo di costruzione di rivendicazioni e strategie capaci di ridefinire un blocco progressista politico-sociale fondato sul lavoro. Non vanno trascurati gli elementi della piccola e micro-impresa e del lavoro autonomo disposti ad abbandonare la retorica proprietaria e competitiva in nome di strategie reticolari, mutualistiche e cooperative. 

Nota economica: Le piccole e micro-imprese valdostane si concentrano in particolare nei seguenti settori: imprese artigiane (manifatturiero e costruzioni), del commercio, dell’alloggio e della ristorazione, senza contare le attività professionali e scientifiche. 

Problemi tipici della piccola impresa. In Italia le retribuzioni medie nelle piccole imprese sono poco più della metà di quelle nelle imprese maggiori. Il fenomeno è legato alle caratteristiche proprie della piccola impresa, tenendo anche conto della loro incidenza in settori specifici. Una prevalenza di piccole imprese operanti nel settore dei servizi, dove il valore aggiunto e soprattutto la produttività sono particolarmente bassi, comporta di conseguenza basse retribuzioni (oltre a un maggior numero di ore lavorate, una minore creazione di occupazione, una minore spesa in investimenti) e una sensibilità alla competizione tutta spostata sull’elemento di costo (principalmente del lavoro). 

Il miglioramento delle condizioni del lavoro dipende da dinamiche oggettive, economiche. In un sistema capitalistico i salari dipendono dal processo di accumulazione capitalista. Con ciò occorre, entro i limiti del possibile, tentare di inserirsi nei processi in atto per innescare processi di scala capaci di rispondere ai problemi oggettivi e alle fragilità della piccola impresa. Uno degli esempi storici di come tale salto di scala sia stato realizzato in un contesto di piccole unità produttive è quello dei distretti industriali. Un modello di cui tenere conto ma, allo stesso tempo, da adattare non solo ai tempi nuovi (quelli della digitalizzazione e dell’economia della conoscenza), ma anche a forme nuove e innovative di “socializzazione” della produzione e della ricchezza. Oggi si possono immaginare modelli a rete, forme di cooperazione tra unità imprenditoriali, sistemi mutualistici di sostegno e di welfare per il lavoro autonomo, consorzi di operatori, strumenti di sviluppo pubblico di piattaforme digitali, ecc. 

L’obiettivo comune a tutte queste ipotesi è quello di attivare e rafforzare gli elementi virtuosi presenti nelle piccole imprese (in termini di flessibilità, di creatività, di motivazione, di professionalità) sfruttando al tempo stesso i vantaggi di scala derivanti dai processi di agglomerazione. I vantaggi aggregativi derivanti dalla messa in connessione delle singole unità possono essere di diverso tipo: diffusione delle conoscenze, compartecipazione del rischio, riduzione dei costi, maggiore capitalizzazione e internalizzazione delle imprese, aumento delle risorse disponibili per investimenti, del rafforzamento della forza contrattuale, maggiore capacità di resistenza ai processi di assorbimento da parte delle grandi unità, ma anche inserimento nei circuiti di welfare aziendale, senza contare la possibilità di ridefinire, attraverso una maggiore capacità di pesare nel contesto locale da parte di “culture professionali diffuse”, il ruolo delle politiche pubbliche di sviluppo economico.


Fonti:

- Da una crisi all'altra: economia e società di fronte alla pandemia. Nota sulla situazione economica e sociale della Valle d'Aosta - Anno 2020

- Una ripresa dal passo incerto: segnali positivi, criticità e disomogeneità dei trend. Nota sulla situazione economica e sociale della Valle d'Aosta - Anno 2019 

- Banca d’Italia, Economie regionali, L’economia della Valle d’Aosta, giugno 2011-2020 Ires-Cgil, Analisi economica della Valle d’Aosta, Tendenze di breve periodo, 2019

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Le conseguenze della solitudine

 


 

Di Matteo Amatori


«Si nasce e si muore soli». Me lo ha ripetuto spesso una persona a cui ho voluto bene. Devo essere sincero, non sono mai riuscito a dare a questa espressione un peso specifico. Mi è sempre sembrata una frase che vuole esprimere un fatto profondissima ma privo di un collegamento ad un (mio) dato esperienziale.

Di recente, di fronte alla prospettiva di un nuovo lockdown, mi è tornata in mente questa frase e, paradossalmente, ora mi sembra abbia acquisito un senso e un riscontro con la realtà che ho già vissuto e che mi appresto a rivivere nuovamente.

Il lockdown e il conseguente isolamento producono effetti collaterali particolarmente dannosi. Amplifica le fobie, le ansie, aumenta gli stati di paranoia e, conseguentemente, produce anche effetti regressivi nelle relazioni e nei rapporti interpersonali. L’isolamento forzato, conseguenza della pandemia in corso, ci mette a nudo. Ci obbliga a ragionare su qualcosa che non ha a che fare con l’esperienza della vita ma semmai con la dimensione della morte.

L’isolamento ha il volto e le sembianze di una morte anticipata.

L’identità si nutre di un confronto costante con sé stessi e con gli altri. Se è pur vero che il ruolo che abbiamo assunto nel tempo nei confronti di tutte le persone che fanno parte della nostra vita non cessa in un periodo di isolamento, la difficoltà di condivisione dell’esperienza della solitudine forzata accresce ancora di più la nostra distanza con gli altri.

La solitudine aumenta l’introspezione e accentua il dialogo interiore. Ma un eccesso di solitudine ci porta, col tempo, a costruire barriere e a cambiare il nostro rapporto con la realtà. Realtà che viene reinterpretata più volte proprio a seguito del nostro fitto dialogo interiore. Quando la realtà non è più condivisa con altri, l’interpretazione stessa della realtà cessa di essere “negoziata”. In questo modo il mondo in cui viviamo diventa a stretta misura individuale. Nel “nuovo mondo” c’è spazio solo ed unicamente per “l’io”.

In questo senso, l’isolamento produce due effetti opposti: da una parte l’individuo sperimenta un forte senso di espressione di libertà alimentando, giorno per giorno, la costruzione di un mondo a misura del sé. D’altra parte, l’individuo che si affranca dal mondo produce anche l’effetto contrario: quello della morte del “sé” in rapporto agli altri. Se viene infatti a mancare la realtà condivisa con altri viene a mancare lo spazio in cui avviene la costruzione di una parte fondamentale dell’identità di ciascuno di noi.

In tempi normali, entrambe le dimensioni, “il mondo del sé” e la realtà condivisa con gli altri, possono coesistere e convivere in maniera più o meno armonica. Ma se prevale una dimensione a scapito dell’altra il rischio è quello di perdere una parte fondamentale del nostro “sé” e quindi della nostra identità.

Anche la morte ha due dimensioni. Una strettamente “fisica”, ovvero l’assenza di vita biologica. Ma la morte è anche “immateriale”; è assenza dei meccanismi che producono le relazioni umane e che generano senso e identità per l’individuo.

Cos’è la morte se non assenza di identità? E che cosa vuol dire, in questo senso, “essere di fronte alla morte”?

Pensando alla morte ci viene subito in mente l’ultima tappa della vita, l’esperienza dell’avvicinamento di un’”assenza del sé”. Un’esperienza che nessuno può dirsi preparato ad affrontare. Esattamente come l’esperienza della nascita, di cui non abbiamo un ricordo, nessuno potrà mai raccontarci l’esperienza della scomparsa del sé e quindi della vita. Vi è quindi una totale mancanza di condivisione dell’esperienza e questo ci fa sentire legittimamente angosciati.

La solitudine e l’isolamento forzato ci nega la possibilità di un confronto con la medesima esperienza vissuta da altri. Anche se abbiamo a disposizione supporti tecnologici, come pure molteplici occasioni di confronto su piattaforme online, non riusciamo a placare la nostra esigenza di condivisione in rapporto a ciò che stiamo vivendo in solitudine. Il dialogo interiore accelera ma, all’opposto, la comunicazione con gli altri peggiora. Abbiamo come l’impressione che una parte di noi non possa emergere, possa scomparire o, peggio ancora, possa essere ignorata dagli altri. Sintetizzando, è paura di “assenza di sé”, una morte anticipata.

In questo momento molti di noi sentono rifiorire alcune sensazioni percepite durante il primo lockdown. Sappiamo a cosa stiamo andando di nuovo incontro. Ci arrabbiamo, coviamo forme di ansia ed esplodono tutte le tensioni latenti.

È un momento delicato ed ognuno di noi si trova di fronte ad una prova difficile, soprattutto chi vive da solo e lontano da famiglia e amici stretti. Non serve sottovalutare l’impatto di questa esperienza e occorre non nasconderla. Al contrario, è sano far emergere la necessità di condivisione che ciascuno di noi cova legittimamente in questo specifico momento.

 

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Il secondo tragico Matthew Lovers e l’indice di profiling ANPAL

 


 

 



 

Di Matthew Lovers

 

È un disastro. Continuo a fare figure barbine durante le mie partite a scacchi on-line serali. Serali… meglio forse definirle notturne. Alle due del mattino gioco solo contro utenti americani e canadesi. Gente orribile. Mi perculano con le loro faccine ironiche inviate in chat. D’altronde me lo merito: come ti è venuto in mente di spostare quel cavallo che teneva in piedi la tua già debolissima struttura pedonale centrale? Continuo a fare errori da principiante; sto perdendo inesorabilmente punteggio. Cristo! Forse dovrei semplicemente smetterla di giocare a quest’ora. Ma non so proprio come impegnare il mio tempo. Non voglio pensare. Se mi metto a letto so già che non dormirò ed inizierò a riflettere sul vuoto e sull’inutilità che contraddistingue l’esistenza umana. A dire il vero, mi fa molta paura la ripetitività dei pensieri che scorrono nella mia testa in queste ultime settimane. Appena chiudo gli occhi vengo catapultato in pensieri strazianti sulla morte e sul tempo che scorre. Alterno ricordi del mio passato con immagini di me su di un ipotetico letto di morte. Continuo a girarmi e a rigirarmi nel letto provando a scappare da queste immagini angoscianti. Non voglio nemmeno stordirmi con l’alcool. Stamattina ero un cadavere; quest’idea di bagnare appena la lingua con un po’ di grappa per combattere l’insonnia ha effetti pessimi sul mio fisico da trentenne in pietosa forma.

 

L’ultima notte è stata davvero un calvario.

 

Ho spento la luce all’una ma alle due del mattino avevo ancora gli occhi aperti. Mi sono alzato e ho fumato l’ennesima sigaretta; dopodiché ho riempito un altro bicchiere per la disperazione. Alla fine, mi devo essere addormentato intorno alle due e mezza. Ricordo perfettamente il sogno che ho fatto. Ho sognato di essere in guerra. Unico soldato vivo rimasto in trincea in mezzo al nulla. Ero ferito, vedevo scorrere il mio sangue ma non capivo da dove partisse l’emorragia. Ero spaventato e in affanno. Sentivo freddo ed ero completamente solo. Avevo una ricetrasmittente da cui sentivo le voci di alcuni miei cari amici. Dicevano cose totalmente assurde.

 

«Ale! Dié! Siete vivi? Dove siete?»

«Ehi Matthew! Giornata di merda, sono ancora a lavoro. Stasera ci facciamo una bevuta al Rossini?».

«Compagni! Io sono rimasto solo, ho perso il mio battaglione. Sono ferito!».

«Eh Matthew... io purtroppo non riesco a liberarmi prima delle 21:30».

«Compagni ma io perdo sangue! Sto per morire!»

«Avrai preso un po’ di freddo Matthew. Mettiti sotto le coperte, pare che giri una brutta influenza».

 

Sentivo che mi si stava gelando il corpo. Ed ero ancora più angosciato dal fatto che non riuscivo a chiedere aiuto ai miei amici.

Mi sono svegliato alle ore 04:37. Sono andato in cucina e mi sono versato un altro bicchiere. Poi ho camminato nevroticamente per casa circa un quarto d’ora. Alla fine, mi sono sdraiato sul divano e poco dopo mi sono riaddormentato. Mi sono svegliato alle 10:30 con un mal di testa devastante e un gusto in bocca orribile. Ho acceso la radio e mi sono fatto un caffè. Subito dopo me ne sono fatto un altro. Era iniziata una nuova giornata di merda. Quale senso potevo dare a questo martedì di inizio settembre? A chi avrei mandato il mio curriculum vitae oggi?


Guardo la mail e vedo subito che mi è arrivato un messaggio del centro dell’impiego e uno da parte di ANPAL (l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro). Pochi giorni prima avevo mandato la “DID” ovvero la “Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro”. Sono anni che mi ritrovo a fare questi passaggi burocratico inutili. Ci penso su un attimo: sono otto anni di esperienza continuativa nel settore del precariato, mica male. Purtroppo, sembrerebbe una contraddizione, sopravvivere a lavori intermittenti non è considerata una competenza per il mercato del lavoro. Quasi dieci anni di solida esperienza in “sopravvivenza in assenza di reddito” eppure, secondo i recruiter, pare non valga la pena di segnarlo sul CV. Un vero peccato. Continueremo quindi a scrivere le solite quattro cazzate: “laurea”, “master” e, tra le “soft skills”, inseriremo la magica frase “capacità di lavoro in team” (detto tra noi, io lavoro molto meglio da solo).

La mail dell’ANPAL mi coglie impreparato. C’è una novità inaspettata rispetto alla solita routine del disoccupato in carriera. Il breve testo della mail dice:

 

OGGETTO: DID Online - conferma aggiornamento a sistema indice di profiling

 

Gentile sig.ra/sig. MATTHEW LOVERS,


si conferma che in data 07/09/2020 è stato aggiornato il suo indice di profiling, che attualmente corrisponde a: 0.719.

Cordiali saluti


Non rispondere a questo messaggio. È stato inviato da un indirizzo di posta elettronica automatico. Non è possibile quindi rispondere ad alcun messaggio inviato da questo indirizzo.

 

Mi chiedo: che diamine è “l’indice di profiling”? All’ANPAL assumono criminologi? Calcolano le possibilità di un disoccupato di intraprendere carriere criminali? effettivamente avrebbe senso. Penso: «Ehi! Se l’indice si calcola su di una scala da 0 a 1 il mio è piuttosto alto». Dovrei darmi al crimine, finalmente una buona idea! Apro subito la Partita IVA!

Ovviamente mi metto a fare una breve ricerca e scopro che questo “indice di profiling” dovrebbe misurare il “grado di difficoltà” nel ricollocare una persona all’interno del mondo del lavoro dopo un periodo di disoccupazione. Per farla breve, se il tuo indice è più vicino allo zero sei considerato “facilmente collocabile” e “poco distante dal mercato del lavoro”. Viceversa, qualora il tuo punteggio si avvicinasse all’uno, sei un povero stronzo “difficilmente ricollocabile” e in evidente conflitto con “il mercato del lavoro”.

 

Devo dire che queste sono notizie che ti svoltano l’intera giornata. Nello specifico, il mio punteggio è inaspettatamente basso. Per l’ANPAL io sarei un soggetto che rischia una disoccupazione di lunga durata. Ma come hanno fatto i calcoli? Dalle pagine che consulto sul web non trovo nulla di dettagliato. L’unica cosa certa è che c’è un operatore dell’ANPAL che raccoglie informazioni generiche dal CV inviato al centro per l’impiego e le inserisce in una banca dati. Sinteticamente sul portale web dell’agenzia si legge che l’indice è calcolato «sulla base delle informazioni fornite in sede di registrazione. (…) gli utenti dei servizi per l'impiego vengono assegnati ad una classe di profilazione, allo scopo di valutarne il livello di occupabilità, secondo una procedura automatizzata di elaborazione dei dati in linea con i migliori standard internazionali». In sintesi: ti comunico che sei un povero stronzo. Lo faccio nella maniera più fredda e informale possibile attraverso un messaggio di posta elettronica automatizzata. Non ti dico quali sono le possibilità di “politiche attive” che hai a disposizione per migliorare la tua “occupabilità” e per ridurre quindi “la distanza con il mercato del lavoro”. E non ti dico nemmeno come abbiamo fatto i calcoli. In compenso ti assicuriamo che gli strumenti utilizzati per calcolare quanto sei un cretino fanno riferimento ai “migliori standard internazionali”. Beh, che dire… Grazie mille di tutto!

 

Decido di non fare un cazzo per tutta la giornata. Mi sembra la migliore risposta morale alle novità sopravvenute a seguito dei calcoli ANPAL. Dopo pranzo dormitina di un’ora e mezza. Mi sento più rilassato. Perché ostinarsi a cercare un lavoro? Perché sforzarsi a trovare un senso a questa esistenza? Meglio riscoprire l’ozio e recuperare le ore di sonno perse durate queste settimane. Mi metto a giocare a scacchi e perdo come un allocco contro “Alibaba815”. Penso: la vita fa schifo a qualsiasi ora. Devo cambiare gioco. Ad un certo punto mi arriva una mail di risposta ad una candidatura inviata qualche giorno prima a Lidl Italia per svolgere la mansione di “Operatore di Filiale”.  Tra le decine di candidature inviate quella me la ricordo bene perché, in quella occasione, per completare la candidatura sul sito web dell’azienda era necessario svolgere un test di cinque minuti per valutare “le competenze multitasking”. Un test molto avvincente: bisognava rispondere contemporaneamente a più domande che continuavano a scorrere sullo schermo. Un “Vero o Falso” con domande che continuavano ad apparire e scomparire. Pochi secondi in cui svolgere in breve tempo operazioni di calcolo prima che apparisse un nuovo quesito. Agghiacciante. Ma DIVERTENTISSIMO. Ho svolto un test perfetto, meglio delle mie ultime partite a scacchi. Ed è tutto detto. Ad ogni modo fremevo. Stavolta svolto, mi dico. Questo il testo della mail:

 

OGGETTO: La Sua candidatura in Lidl

 

Egregio Sig. Lovers,

 

Con la presente La ringraziamo per averci spedito la Sua candidatura e per l’interesse dimostrato per la nostra azienda.

 

Purtroppo, dobbiamo comunicarLe che la nostra scelta si è indirizzata su altri candidati meglio rispondenti alle nostre richieste e che pertanto la Sua candidatura non verrà ulteriormente presa in considerazione per la posizione in oggetto.

 

La preghiamo di non ritenere la presente come un mancato apprezzamento delle Sue capacità e competenze.

 

Le facciamo comunque i nostri migliori auguri per la Sua carriera professionale.

 

 

Distinti saluti,

 

Il Suo team Recruiting Lidl

 

Rileggo una decina di volte questa frase: «La preghiamo di non ritenere la presente come un mancato apprezzamento delle Sue capacità e competenze». Mi sale la paranoia. Penso: l’Anpal ha passato sicuramente i dati alla Lidl. Hanno visto che il mio indice di profiling è 0,719. MALEDETTI.

Non la prendo bene, la notizia è scioccante. Oramai nessuno prenderà in considerazioni le mie candidature. Le aziende sanno che le mie competenze, verificate minuziosamente da ANPAL, sono colpevolmente distanti da quelle richieste dal mercato del lavoro. Non reggo la tensione, mi gira la testa e mi si annebbia la vista. Svengo. Fu in quel preciso momento che mi è apparso in sogno il MEGA-DIRETTORE-GALATTICO di Lidl.

 

«Egregio Dottor Lovers…».

«La prego Eminenza, Dottore mi pare troppo».

«Signor Lovers perché si diverte a farci perdere tempo? Lo sa che gestiamo centinaia di candidature ogni anno e che riceviamo migliaia di curriculum di persone più competenti di lei?»

«Immagino Eminenza, è stato un gesto impulsivo il mio».

«Mi invia un curriculum dove segna una laurea e come ultima esperienza professionale “insegnante di sostegno”. Che cosa si aspettava che le rispondessimo?».

«Eminenza. Mi deve credere, io mi pento e mi dolgo con tutto il cuore per ciò che ho fatto in passato. Ero mosso da ideali giovanili e mi sono laureato. È stato un errore di gioventù ma mi creda… io vorrei cambiare. Sogno una vita modesta. Sogno un lavoro semplice, ripetitivo e senza responsabilità. Uno stipendio normale per pagarmi le bollette e che mi permetta di andare un paio di settimane all’anno al mare a Borgio Verezzi. Vorrei dimenticarmi di questi anni passati a rincorrere ambizioni senza senso, assolutamente improbabili. Ho sognato cose assurde che ora disprezzo. Ho sognato di avere un posto di lavoro stabile ma allo stesso tempo gradevole. Sognavo soprattutto di avere un lavoro che rispecchiasse un’identità consimile a quella delle professioni del ceto medio-riflessivo. Ero giovane ed ero mosso da idee sbagliate. Ma sono pronto a redimermi, mi creda».

«Ne è sicuro? Lei si pente di aver studiato? Ora pretende un posto come “operatore di filiale” (Ergo scaffalista) e mi propone un CV dove segna un master in “sviluppo locale”. Guardi signor Lovers lei offende la sua intelligenza prima ancora che la nostra reputazione».

«Non so cosa scrivere sul curriculum Eminenza. Vorrei dirle che ho lavorato cinque anni come cassiere in una GDO ma non posso dimostrarlo. La prego, Eminenza, mi dia una possibilità. Posso imparare».

«Se lo scordi signor Lovers; non sono disposto a spendere 1200 euro al mese per assumere un laureato ancora da formare. Perché non fa un percorso professionale finanziato dalla Regione per imparare a fare il magazziniere? Posso valutare di concedergli uno stage formativo gratuito».

«Non so se sono all’altezza di questo compito Sire, ma la ringrazio per la generosa proposta. In verità pensavo di iscrivermi all’università popolare quest’anno per seguire un corso di Egittologia».

«Lei è una merdaccia Dottor Lovers».

«Ha proprio ragione Eminenza. Una merdaccia certificata ANPAL».

«Si diverte a farmi perdere tempo. Il suo è il classico CV da sfigato medio-progressista».

«Beh, proprio medio-progressista no Eminenza… diciamo comunista. Ma so accontentarmi Eminenza. La prego, mi conceda un posto nel suo acquario».

«Se lo scordi. Quello è un privilegio riservato ai soli dipendenti Lidl. La saluto Dottor Lovers, le auguro un lavoro come giornalista freelance».

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La Futura VDA: alcune proposte

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TURISMO ED ECONOMIA DI RETE

La molteplicità di imprese attive nel settore turistico rappresenta certamente un valore aggiunto del turismo valdostano, sia in termini di varietà dell’offerta che di personalizzazione della stessa, ma allo stesso tempo rappresenta anche un indice di fragilità del comparto, vulnerabile alle fluttuazioni di mercato e non provvisto degli strumenti (finanziari e organizzativi) per la condivisione di una visione strategica e per il raggiungimento di obiettivi condivisi. Il turismo valdostano va valorizzato e rafforzato per permettere alle imprese di crescere e stabilizzarsi, e soprattutto per garantire ai lavoratori una migliore e più stabile occupazione.

Serve uno sforzo per la promozione di forme di azione collettiva e di cooperazione:

- tra i rappresentanti di categoria e tra le istituzioni, al fine di favorire lo sviluppo di una strategia condivisa basata sul coordinamento tra gli uffici del turismo (e in generale il settore pubblico)
- tra gli operatori del settore, per un più efficiente impiego delle risorse (da destinare ad esempio a iniziative congiunte di marketing, a pacchetti promozionali, a iniziative condivise come fiere, notti bianche, ecc.).

Occorre quindi sviluppare e promuovere forme di cooperazione tra le imprese del settore (per dividere i costi, per operare congiuntamente e strategicamente sul mercato, per aumentare la capacità di investimento e di stabilizzazione dei lavoratori, per sviluppare nuove funzioni e competenze condivise) e di collaborazione tra livelli istituzionali (per una normativa più coerente e per la promozione e il rafforzamento di forme di associazionismo e rappresentanza che sappiano dare risposte unitarie a problemi simili). 

Per questo pare necessario incentivare e promuovere gli strumenti di messa in rete delle realtà economiche, a seconda del grado di necessità effettiva degli operatori: consorzi, cooperative, contratti di rete e forme di aggregazione di impresa sono strumenti che garantirebbero un aumento delle esternalità positive sul territorio, derivanti da una maggiore capacità di spesa e dalla possibilità di allargare il campo della visione strategica del comparto. 

Andrebbero poi rafforzate le rappresentanze dei lavoratori del settore, creando così gli strumenti per un coinvolgimento effettivo dei lavoratori impegnati nel turismo. A questo proposito occorre integrare gli strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori prevedendo forme di continuità reddituale per i lavoratori stagionali specifiche per la realtà valdostana, da associare a specifici programmi di formazione e riqualificazione per un potenziamento delle competenze dei lavoratori. 

LE IMPRESE IN CRISI? AI LAVORATORI!

È necessario implementare specifici strumenti per mantenere sul territorio l’occupazione e le competenze in caso di crisi aziendali che comportino la chiusura o la delocalizzazione dell’impresa, aumentando il potere dei lavoratori nella gestione e nel controllo delle dinamiche economiche. Per questo occorre mettere a punto una legge regionale sul recupero di impresa da parte dei lavoratori (workers buyout), a partire da quanto previsto dalla legge Marcora 49/85, per la gestione sul territorio valdostano dei fondi statali a supporto delle operazioni per la riconversione cooperativa delle aziende in fallimento e la loro eventuale integrazione tramite programmi specifici. 

La possibilità di esercitare il diritto di prelazione e valutare il recupero dell’impresa da parte dei lavoratori deve essere valutata in ogni procedura fallimentare con il supporto di uno specifico comitato tecnico, e l’opportunità dell’accesso ai fondi per la riconversione deve entrare a far parte delle procedure standard di gestione di ogni crisi aziendale, con lo sviluppo di strumenti di supporto, strutturati su più livelli e in coordinamento tra le varie istituzioni, per il processo di riconversione cooperativa (supporto nelle fasi iniziali di valutazione, supporto per la stesura di un business plan, sostegno nelle fasi di acquisto, supporto per la formazione e riqualificazione dei lavoratori). 

PER UN'ECONOMIA CIRCOLARE E SOSTENIBILE

Occorre promuovere una legge regionale per la promozione dei parchi eco-industriali (per un’economia circolare e sostenibile). Parte dei problemi ambientali dipende dal consumo e stoccaggio dei materiali di risulta dei processi produttivi: molti output delle imprese finiscono col diventare rifiuti, eliminati dal ciclo produttivo. I parchi eco-industriali si basano su tre principi: la minimizzazione dell'utilizzo di energia, l'uso di sottoprodotti dei processi industriali come materia prima e lo sviluppo di un sistema economico resiliente

Il tessuto economico valdostano è composto prevalentemente da piccole e piccolissime imprese, spesso non integrate tra loro: la promozione di reti di scambio sostenibile tra imprese garantirebbe una strategia volta al potenziamento del settore industriale tramite lo sviluppo di veri e propri cluster specializzati nell’economia circolare e, contemporaneamente, alla riconversione ecologica dello stesso. 

Inoltre la Valle d'Aosta non conosce un settore manifatturiero in grado di trainare lo sviluppo di un indotto locale. L'approccio del parco eco-industriale potrebbe rappresentare una forma di valorizzazione e potenziamento del settore industriale valdostano. Tra i vantaggi potenziali vi sarebbero la riduzione del volume complessivo di rifiuti prodotti, la maggiore efficienza derivante dalla razionalizzazione nello sfruttamento delle risorse, i maggiori vantaggi competitivi legati all'utilizzo dei sottoprodotti in un circuito a km zero, con conseguente risparmio sui costi di trasporto e di smaltimento dei rifiuti, le potenzialità innovative in termini di processo e di prodotto, la crescita di capacità produttiva e di investimento e la creazione di nuova occupazione, oltre che le opportunità di connessione dell'area eco-industriale con il mondo urbano dei servizi, della ricerca e dell'università e il marketing territoriale dei prodotti del parco eco-industriali.

Sono due, in Valle d'Aosta, le aree su cui si potrebbe concentrare l’attenzione: i parchi industriali di Aosta e Pont-Saint-Martin. Le Pépinières d'entreprises avrebbero il compito di coordinare la regia dei processi aggregativi e di rete, promuovendo lo sviluppo di un centro dedicato alle start-up innovative specializzate proprio nel settore dei sistemi di efficientamento energetico, design industriale, recupero e riutilizzo dei materiali

SETTORI INNOVATIVI, INVESTIMENTI, UNIVERSITA'

Un settore economico dinamico e moderno dovrebbe dedicarsi alla promozione dell’insediamento di settori ad alta intensità energetica e a basso impatto ambientale in grado di occupare forza lavoro altamente qualificata (informatica, hi-tech, web, clouding, data center), lavorando all'integrazione sistemica tra queste realtà produttive e il settore dell’alta formazione regionale, favorendo inoltre il ruolo pubblico di Cva in quanto gestore di una risorsa fondamentale per lo sviluppo di scelte industriali con importanti risvolti qualitativi e quantitativi sull'occupazione valdostana.

Per questo occorre riattivare gli investimenti pubblici, che devono essere mirati e condizionati al raggiungimento di obiettivi precisi, guidati da un piano industriale di medio-lungo periodo. 

Complementare allo sviluppo di un'economia moderna e inclusiva è la promozione di un'università generalista legata al rilancio Aosta e allo sviluppo di reti di ricerca e sviluppo con le realtà innovative regionali e extra-regionali. L’università è un nodo cruciale, se pensata come modello per il rilancio della composizione sociale e delle competenze diffuse sul territorio. Un’università in grado di attrarre grandi numeri di studenti (discipline generaliste, ma anche settori ad alto ritorno di investimento), e non piccole nicchie, potrebbe avere un impatto sulla città di Aosta significativo e vivacizzare il tessuto sociale, comportando un flusso e una circolazione di conoscenze potenzialmente attivabili per la crescita locale. È importante, quindi, pensare anche alla connessione dell’università con il mondo delle imprese e conle  strutture di ricerca regionali e extra-regionali.
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I miei 5 saggi. Letture del 2019

Anche nel 2019 non sono mancate le letture. Qui una selezione di quelle che più hanno saputo influire sulla mia prospettiva, aiutandomi a pormi nuove domande e a cercare meglio eventuali risposte.


bourdieu la distinzione sociologia habitus libri
Pierre Bourdieu - La distinzione. Critica sociale del gusto (Il Mulino, 2001)

Difficile riassumere un lavoro complesso e articolato come La distinzione in poche righe. Bourdieu analizza il gusto e i consumi culturali alla luce di una più generale teoria sulla società divisa in classi. La classe è intesa qui come uno spazio multidimensionale che arriva a condizionare le nostre scelte a partire da un livello inconscio, attraverso l'influsso di comportamenti indotti, trasmessi a livello famigliare e utili per orientare le nostre azioni nella società (il concetto di habitus, inteso come una natura sociale, una forma incorporata della condizione di classe e dei suoi condizionamenti), arrivando a strategie più o meno consapevoli di posizionamento nel quadro di una costante e rinnovata lotta di classe. A questo punto il gusto diventa l'espressione del nostro status sociale, che a sua volta si definisce nel rifiuto dei gusti altrui: il gusto è strumento di distinzione, di definizione di sé entro i limiti dello spazio sociale (il fare "di necessità virtù"), di razionalizzazione delle frustrazioni derivanti da un possibile o attuale declassamento. Il gusto pone dei confini netti tra me e chi sta immediatamente sotto di me nella scala sociale, partendo dal gusto per il "pratico" e per il funzionale, al progressivo rifiuto di tutto ciò che rimanda alle condizioni materiali d'esistenza, alle vili "urgenze pratiche" (come nel caso dei gusti disinteressati, esosi e disinvolti dei gruppi dominanti). Tutto ciò viene sviluppato entro i confini amplissimi e articolati di una radiografia dell'essere (e apparire) di classe, tenendo conto dei diversi tipi, pesi e interazioni di capitale che connotano le varie posizioni sociali (capitale economico, sociale, culturale e scolastico), oltre che dell'origine e delle traiettorie nello spazio sociale. Facendo luce sulle logiche profonde delle nostre scelte in una società divisa per gruppi di interesse, Bourdieu sottrae dal più totale arbitrio soggettivistico il mondo delle pratiche culturali, fornendo un tentativo solidissimo di spiegazione del binomio "essere e dover essere" nello spazio sociale. Un lavoro che costringe a mettersi seriamente in discussione, imponendo una decostruzione di comportamenti dati per scontati e autenticamente personali, inquadrandoli invece in un fitto coacervo di influenze famigliari e sociali.

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Natura umana in Marx e alienazione ambientalista

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I. Natura e alienazione in Marx

Strappando all’uomo l’oggetto della sua produzione, il lavoro estraniato gli strappa perciò la sua vita specifica, la sua oggettività specifica reale e trasforma il suo primato sull’animale nello svantaggio del fatto che il suo corpo inorganico, la natura, gli viene sottratto.

Il concetto di alienazione (qui ancora legato al Feuerbach di “Essenza del cristianesimo”) è, in Marx, di fondamentale importanza per capire non solo la sua critica sociale ed economica, ma anche la sua impostazione etico-filosofica. L’idea di alienazione si fonda infatti sull’idea di una separazione, di una frattura che si realizza tra uomo e natura e di conseguenza tra uomo particolare e uomo generale, tra l’uomo inteso come lavoratore e l’uomo inteso come specie. Il lavoro estraniato separa l’uomo dall’oggetto della sua produzione, e quindi lo separa dalla sua vita di genere: l’uomo è produttore, produrre rappresenta la sua genericità (e al contempo la sua specificità). La separazione tra l’uomo e la sua oggettività specifica reale, coincide con la separazione dell’uomo dal suo corpo inorganico, la natura.
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