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John Fahey sarebbe fiero di voi. I primitivisti americani del nuovo Millennio

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John Fahey
L'American Primitivism è un genere che mi ha sempre affascinato moltissimo. Fondato, come recitano i manuali, da John Fahey, personaggio incastrato tra il mito e la miseria, lo stile primitivista è caratterizzato da una rilettura della tradizione folk rurale americana in chiave "raga". Le composizioni primitive erano lunghe, oniriche, suite di chitarra acustica suonata prevalentemente in fingerpicking, madide di sentori esotici, di arabeschi vibranti, di dilatazioni che sarebbero poi state il pane quotidiano della scena blues-psichedelica della seconda metà degli anni Sessanta.

Tra i pionieri del genere alcuni chitarristi intenti in un'opera di vera e propria trasfigurazione dell'espressività tradizionale: il sound diventava espressione di un immaginario astratto più che una polverosa testimonianza di vita terrena. A contare, più che la tecnica, erano proprio le visioni che la musica era capace di stimolare.

Un genere non così popolare e nemmeno troppo fertile. Eppure, grazie anche agli sforzi dei Cul de Sac di Glenn Jones che, negli anni Novanta (complici anche la riscoperta del magazine Spin e l'interesse di Jim O'Rourke), andarono a ripescare il povero John Fahey (che sarebbe morto pochi anni dopo) coinvolgendolo in una collaborazione, presto nuove leve si aggiunsero allo stinto rosario primitivista.

La seguente playlist è un breve e non esaustivo elenco di alcuni dei nomi più significativi degli ultimi vent'anni. Roba da rendere orgoglioso il buon vecchio John, ne sono sicuro.



*Gli unici artisti non americani sono Gionata Mirai e gli Uyuni, piccolo tributo ai cultori italiani del genere.


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