Di Matthew Lovers
Quando meno te lo aspetti ti accorgi di essere diventato vecchio; abbastanza vecchio da dover sopportare la pesante eredità del saggio che si trova di fronte a quelle nuove generazioni assetate di risposte su temi che riguardano il lavoro e la faticosa strada per raggiungere quella chimera chiamata “realizzazione personale e professionale”. Io ve lo dico chiaramente, non mi sento ancora pronto a dispensare consigli tali da poter risolvere i problemi identitari e esistenziali degli altri. Quando mi ponete domande in questo ambito, in particolare su quello strettamente lavorativo (mi candido, invio il cv, vado al colloquio, mi licenzio ecc. ecc.), potreste andare incontro a risposte totalmente spiazzanti da parte del sottoscritto. Io in realtà sono convinto, come mi ha insegnato un mio caro amico espatriato in Francia, che ciò che assumiamo come imprescindibile per noi non lo è in egual misura per altri. Al vostro posto agirei in una certa maniera ma l’unica cosa certa è che io non sono voi e voi non siete me (per vostra fortuna). Quindi voi siete i migliori giudici di voi stessi e non dovreste ascoltare nessuna delle cazzate sparate da qualche saggio improvvisato e pronto a mettersi sul piedistallo della verità (peggio ancora in onore e virtù della sola età anagrafica). Non esiste una narrazione “oggettiva” sull’etica, la ragione e il senso della vita. La vita è vostra e (responsabilmente) ne fate ciò che volete. Detto questo se mi chiedete consigli su come, ad esempio, affrontare un colloquio di lavoro vi posso confortare dicendovi che nella mia esistenza ho svolto all'incirca una settantina di colloqui da cui ho imparato moltissimo, principalmente su me stesso e su chi sono davvero. Dopo una carriera lunga circa 7 anni ho affinato una tecnica specifica che mi ha portato non tanto a grandi successi professionali ma ad una maggiore consapevolezza del mio valore personale. A 26 anni ero terrorizzato dall'idea che non passare il colloquio di lavoro significasse principalmente un’incapacità ad essere all'altezza della sfida della sopravvivenza e a quella della realizzazione di ambizioni e progetti professionali. Ecco, alle porte dei miei 33 anni vi dico che queste paranoie sono tutte stronzate.
Partiamo da questo punto: le aziende non cercano particolari “talenti” ma solo specifiche competenze, o “menti brillanti”, ma preferibilmente con scarse (o addomesticate) capacità critiche. La tanto decantata “innovazione” nel mondo del lavoro tradizionale non è presa realmente in considerazione e la vostra capacità critica verrà vista semplicemente come una fastidiosa “rottura de cojoni”. Non vi vogliono come teste pensanti, vi vogliono solo come esseri entusiasti, possibilmente svegli ma tutto sommato mediocri.
Il colloquio di lavoro non è che un’opera teatrale in cui la sceneggiatura è già stata scritta e in cui il regista (il reclutatore), dopo aver visionato alla meno peggio il vostro curriculum, valuterà principalmente la vostra dimestichezza con l’arte della recitazione e la vostra capacità ad immedesimarvi ad un personaggio scelto come “figura” in grado di arricchire la pièce teatrale. Una volta ad un colloquio mi è stato detto da parte di un responsabile HR di una grande azienda: “Noi dobbiamo capire chi abbiamo di fronte per avere quante più certezze su chi è realmente colui che dovremmo accogliere in casa nostra”. Una cosa più che sensata in effetti. Fosse per lui (che gioca la parte del padrone di casa) non entrerebbe nessuno da quella porta. Però, cristo, bisogna pur fatturare e ci serve qualcuno che lavi i piatti e i panni sporchi per rendere l’azienda sempre più “efficiente”.
Fatemelo dire, ho sempre apprezzato la franchezza; e i colloqui di lavoro mi fanno un effetto estraniante perché ci ritroviamo di fronte a qualcuno che chiede di fornirgli uno “storytelling”, una narrazione entusiasmante della nostra esistenza, quando poi è evidente che la nostra vita non è mai stata davvero entusiasmante e che l’unico motivo per cui ci troviamo seduti a quella sedia in compagnia di un estraneo logorroico e impiccione può essere solamente spiegato da un motivo: trovare un modo per tirare a campare. Non solo: stiamo cercando un modo per rispondere alla domanda “che cosa fai nella vita”. Una domanda che ci viene posta spesso il venerdì sera mentre cerchiamo un contatto umano con un/a estraneo/a e per provare finalmente la sensazione di essere anche noi individui dotati di dignità. “Sono laureato in sociologia con una tesi in storia del pensiero economico” è una risposta che non convince nessuno, per primo te. “Sì ho capito, ma cosa fai nella vita?”. Solitamente al quarto bicchiere di grappa cedete con una risposta del tipo: “sono un project manager e lavoro (gratis) nell'ambito socio-culturale”. Se la persona che avrete di fronte sarà al medesimo bicchiere e, in linea generale, in piena sintonia con il vostro tasso alcolico allora potrebbe anche convincersi di appartarsi con voi quella notte. Però, Dio mio, è proprio una vita di merda.
Forse bisognerebbe avere il coraggio di costruire un’immagine della propria identità facendo come prima cosa una seria analisi di coscienza. Voi non siete un project manager, un controller finanziario e nemmeno un brillante commerciale. Voi siete semplicemente una costante incognita per voi stessi, un essere diviso tra letture intellettualmente elevate, un amico prezioso per qualcuno, un figlio eternamente immaturo, un sollevatore di polemiche seriale e al massimo coltivate hobby come il Fantacalcio. E che c’è di male? Nulla, assolutamente nulla. Dovete solo convincervi di questo: la vita reale è questa e le recite fanno parte di un gioco a parte. Non dovete convincervi dello “storytelling” che voi stessi create come un’opera d’arte per il vostro importantissimo colloquio di lavoro.
Detto questo non siete pazzi: tutta quella recita rimane alquanto “bizzarra”. Ricordo che durante un corso di economia all'università, parlando di “best practice” in merito alla cultura aziendale e alla gestione delle risorse umane, ho sentito citare il caso “Esselunga”. L’Esselunga del compianto fascista Bernardo Caprotti “ha dato lavoro” ad un sacco di giovani talenti seguendo principalmente una filosofia di recruiting. Caprotti diceva una cosa alquanto ovvia e banale: “le pere non stanno con le mele”. Le risorse umane di Esselunga hanno seguito questa filosofia di reclutamento del personale mantenendo ambienti di lavoro efficienti: non inserire mai personalità “diverse” all'interno di gruppi di lavoro omogenei. Capite? È tutto sommato normale affrontare un colloquio di lavoro con quella tipica ansia da prestazione che caratterizza l’attore durante un’audizione: “devo sembrare quanto più possibile una cazzo di mela! Altrimenti come mi pago l’affitto questo mese?”
Qualcuno poi dice che la cultura HR non ragiona più così e che la “diversità” può essere un valido punto di forza per spiccare tra individui totalmente omologati. Ma ne siete davvero sicuri? Partecipate a colloqui di lavoro per ricoprire posizioni professionali molto probabilmente al di sotto delle vostre aspettative e allo stesso modo l’azienda che avrete di fronte vi tratterà “nella vita reale” come carne da macello. Verrà valutato positivamente il vostro spirito di sacrificio non la vostra personalità e nemmeno la vostra “diversità”. Ma la frase che più adoro è questa: “durante il colloquio i recruiter indagano le tue competenze trasversali, la tua capacità comunicativa e la tua intelligenza emotiva”. È talmente ovvio: su cosa si dovrebbe basare il reclutatore? Riceve centinaia di curriculum di persone che si candidano per ricoprire ruoli come “Addetto Supply Chain” (parliamo di una posizione lavorativa con un mansionario che si avvicina a quello di un aiuto magazziniere) e francamente il suo obiettivo è evitare di ripetere lo stesso colloquio ogni 3 mesi. Le vostre “competenze trasversali” positivamente valutate sono in sostanza: capacità di adattamento al modello gerarchico aziendale, buona predisposizione all'umiliazione e un livello di ambizione adeguato per sopportare vessazioni, obiettivi aziendali umanamente irraggiungibili e orari di lavoro che vi faranno dimenticare di avere una vita al di fuori del posto di lavoro. Ecco quali sono le “competenze trasversali” apprezzate in questo “mercato del lavoro”.
Eppure io, in tutti questi anni, non mi sono arreso a questa stanca recita. Negli anni ho affinato nuove tecniche da applicare durante i colloqui di lavoro. Ho deciso di mettere in mostra tutte le mie competenze trasversali e la mia intelligenza emotiva. Sono tanti i video che potete trovare su You Tube sull'argomento “come affrontare al meglio un colloquio di lavoro”. Sono tutti contenuti che non sconfessano la recita ed anzi ne esaltano la vocazione: vi dicono che dovete essere motivati, vi dicono che dovete credere in voi stessi e vi fanno un decalogo delle regole per “vincere” la competizione a colloquio e per essere un mediocre di successo. Io non vi propongo nulla di tutto questo, anzi vorrei incitarvi a cambiare completamente prospettiva: d’ora in avanti il colloquio di lavoro lo farete voi all'azienda. Voi non vi dovreste porre a colloquio come soggetti passivi che elemosinano “un’opportunità professionale”. Voi dovreste cominciare a comportarvi come professionisti che sanno di avere delle competenze spendibili in azienda. Ma tale azienda deve offrirvi un sostegno di crescita reale in ambito professionale. Dovete essere in grado di mettere voi in giudizio l’azienda e la cultura delle risorse umane. Bastano 5 minuti di colloquio per capire chi avete di fronte a voi.
Utopia? Dipende qual è il vostro obiettivo. La mia è un’umile visione della realtà che nasce dal desiderio di rompere uno schema. Qui vi voglio semplicemente descrivere una tecnica che vi potrà servire non per passare i colloqui ma per fallirli meglio. Vi mostro un metodo di recitazione in grado di stupire il vostro interlocutore e di metterlo in una situazione particolarmente scomoda. A tal proposito vi consiglio di (ri)guardare una serie TV che vi ispirerà nel perfezionare tecniche di gestione del colloquio. Guardate la prima stagione di True Detective e capirete l’importanza di assimilare tecniche da interrogatorio.
L’inarrivabile Matthew McConaughey ci ha insegnato Il metodo “Rust”, un metodo di gestione del colloquio in apparenza infallibile. Come potrete vedere sin dalla prima puntata di True Detective, durante l’interrogatorio il nostro eroe sarà capace di instaurare una dinamica manipolatoria con i propri interlocutori. La base del ragionamento è che bisogna essere abbastanza bravi per guidare il recruiter non dove immaginava di portarvi lui ma dove volete andare voi. Dovrete consumare un’ora del vostro tempo per scardinare l’asimmetria di potere che esiste tra voi e il vostro interlocutore. Se guarderete attentamente la serie e sarete abbastanza bravi ad assimilare le principali abilità e competenze “di un buon detective” potrete non ottenere il lavoro dei vostri sogni ma prendervi una rivincita magistrale con tutti quei fenomeni incaricati dall'azienda di svolgere diligentemente il proprio ruolo di regista. Sarete voi a riscrivere la sceneggiatura della pièce teatrale. Sarete voi che guiderete il colloquio in modo da ricavarne informazioni utili sul metodo di gestione delle risorse umane applicato in quell'azienda. Dovrete inoltre conoscere quali sono le reali possibilità di carriera all'interno della stessa, così da non perdere tempo e fare una scelta consapevole rispetto alle vostre reali aspettative.
No, non passerete il colloquio. Lo fallirete nel miglior modo possibile. Ma una cosa è certa: non verrete mai dimenticati. Se seguirete i punti fondamentali del metodo “Rust” non vi aspetta un misero stipendio ed una posizione lavorativa stabile. Vi aspetta qualcosa di molto più prezioso: la gloria.
Alcuni punti fondamentali per riuscire in questa grande impresa:
1- Iniziate il vostro storytelling tracciando una linea coerente degli eventi ma tralasciando consapevolmente gli elementi e le caratteristiche principali delle vostre esperienze professionali e formative.
2- Date l’impressione di essere tremendamente sicuri e distaccati dalla situazione attorno a voi. Nessuna esitazione, guardate negli occhi i vostri interlocutori senza mai regalare un sorriso.
3- Lasciate che il vostro interlocutore si sveni per provare a farvi rispondere a qualche domanda puntuale sul vostro passato: “Che cosa ha fatto tra luglio 2016 e gennaio 2017”. “Detective, se vuole sapere come ho impegnato il mio tempo nel lontano settembre del 2016 deve pormi una domanda più precisa”.
4- Allungate il brodo del discorso mostrando di avere una solida formazione filosofica-scientifica capace di rassicurare il vostro interlocutore: “quest’uomo sarà anche pazzo ma è davvero intelligente”. Mostratevi razionali, cinici e insopportabilmente pessimisti. Se vi danno l’occasione disquisite sul valore e sul significato della vita.
5- Innervosisci il tuo interlocutore ma rimanendo assolutamente nei limiti e nei canoni della decenza. Almeno fino a quando arrivi a tre quarti d’ora di colloquio. Se superi i tre quarti d’ora si avvicina il vostro obiettivo e potrete gustarvi finalmente il momento di gloria. Ci siete quasi.
6- Arrivati ad un’ora di colloquio chiedete espressamente un pacchetto di sigarette e 6 lattine di birra da 66 cl. Siate chiari: senza ricevere birra e sigarette non sarete più capaci di continuare il colloquio. Piuttosto minacciate di andarvene.
7- Alla fine, quando vi chiederanno se avete qualche domanda da porre, tirate fuori il sorriso e domandate al recruiter come si trova a lavorare per quella importante azienda e se è soddisfatto della sua vita. Chiedetegli di essere sincero: “oggi a che ora abbandonerà la sua amata postazione di lavoro?”.
8- Quando vi congederanno dite al recruiter che siete disponibili a svolgere un secondo colloquio ma che volete parlare direttamente con il responsabile delle risorse umane del gruppo. Fagli capire che hai voglia di parlare direttamente con chi conta. E non dimenticare di stabilire il tuo prezzo: scrivi la tua RAL su di un foglio piegato e consegnalo in mano al recruiter. Prendi la borsa e saluta.
9- Esci dall'edifico e accenditi una sigaretta.
10- Sorridi, oggi hai fatto qualcosa di grandioso e di autentico per te stesso.
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