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I migliori album (finora) del 2019

Il 2019 è un anno importante: qui si chiude il secondo decennio dei Duemila, e tra qualche mese sarà il momento di chiedersi cosa sia rimasto di questi dieci anni fitti di avvenimenti. Se è vero che la musica ha la capacità (quasi figurativa nonostante sia tra le arti la più astratta) di fotografare il proprio tempo, allora ripercorrere i dischi che hanno contrassegnato questo strano decennio senza nome, sarà impresa stimolante e allo stesso tempo malinconica. Come ripercorrere le pagine di un grande album di famiglia.

Inizio da qui, nel mio piccolo, con una piccola rassegna dei migliori album ascoltati finora, per un personale appiglio utile all'orientamento.

mahmood gioventù bruciata
► Mahmood - Gioventù bruciata (Island)

Il fatto che al primo posto metta un italiano, per di più uscito vincitore a Sanremo, è cosa più unica che rara (o forse segno dei tempi? Chissà, di sicuro si sta sviluppando una scena nazionale alt-r'n'b a cui auguro uno sviluppo mirabolante). Eppure il disco di Alessandro Mahmood fa quello che deve fare un buon disco di pop contemporaneo: giocare con i suoni e gli impasti cromatici ("Il Nilo nel Naviglio"), con contaminazioni etniche e elettroniche, oltre che con una scrittura creativa e originale ("Soldi", "Gioventù bruciata", "Remo"), con una gestione intelligente dei momenti più pop ("Uramaki" e quel suo drop massiccio), passando per una poetica sottile e malinconica ("Asia Occidente", peraltro capace di un trattamento del sound davvero sopraffino). Sperando non sia solo una meteora, ci teniamo ben stretto uno dei migliori album italiani da un po' di tempo.
bilderbuch vernissage my heart

► Bilderbuch - Vernissage My Heart (Maschin)

Sarà esagerato, ma gli austriaci Bilderbuch non sbagliano un colpo da anni. Forse l'entusiasmo si ridimensionerà tra qualche mese, ma nonostante la caratura "minore" del secondo episodio a meno di un anno di distanza da "Mea Culpa", siamo sempre su livelli davvero alti rispetto alla media. Ci si sollazza con l'ennesima rivisitazione urban letta con piglio arty e grandissimo estro manipolativo. Dunque, strati massicci di distorsioni ("Kids Im Park"), melodie impeccabili ("Frisbee"), divertentissime creazioni alt-r'n'b ("LED Go" e "Ich habe Gefühle"), elucubrazioni che mixano ambizioni prog a tenui pennellate lounge ("Vernissage My Heart", "Europe 22"). Altro centro per una delle band fondamentali degli anni Dieci.

vampire weekend father of the bride
► Vampire Weekend - Father of the Bride (Columbia)

Ho sempre pensato che, in fondo, i Vampire Weeekend non fossero né carne ne pesce, pur rappresentando un nome imprescindibile per comprendere lo spirito del tempo in cui viviamo. Naïf ed estetici, sbarazzini e arty, colmi di fascino ma spesso privi di debita sostanza. "Father of the Bride" cerca invece di dare un tono di maggiore corposità alla proposta della band newyorkese, arrivando a sfiorare l'ora di durata con una scaletta che ripercorre e raffina una proposta decennale. C'è, per iniziare, il country profumato dalle coralità ethno -  tratte dal film "La Sottile Linea Rossa" - di "Hold You Now" (dove compare la voce di Danielle Haim, presente in diversi episodi), la freschissima rievocazione baggy di "Harmony Hall", il songwriting country-pop di "This Life". Ma le variazioni sul tema sono tante, e passano per arrangiamenti elettronici ("Married in a Gold Rush", "My Mistake", "Spring Snow"), eleganti misture di leggerezza indie pop e eleganza chamber ("Unbearably White" e "Rich Man"), cavalcate acid-latine ("Sympathy"), e incalzanti bozzetti di soul psichedelico ("Sunflower" e "Flower Moon", che vedono la partecipazione di Steve Lacy degli Internet). In "Father of the Bride" Ezra Koenig da una parte risente dell'influenza crescente del genere Americana, dall'altra si riscopre come autore multi-sfaccettato e paziente, regalandoci forse la sua prova migliore.

deerhunter 2019 new album
► Deerhunter - Why Hasn't Everything Already Disappeared? (4AD)

Effettivamente la domanda è lecita. Si potrebbe dire che è LA domanda. Buttandola lì a freddo, Bradford Cox e soci non pensano ovviamente di avere alcuna risposta, ma continuano a scivolare lungo una sempre più disinvolta padronanza di linguaggi sciolti, morbidi, pregni di un fascino ombroso e sottotono, come se la vera conquista fosse proprio quell'agevole disinvoltura apparentemente svogliata, annoiata. Ecco, se già "Fading Frontier" snocciolava questa ambigua formula, il nuovo episodio dei Deerhunter ribadisce il concetto, calandosi però sempre più nel presente (come dimostrano i testi particolarmente agganciate all'attualità). Brani semplici ma di una semplicità "alta", che ama citare senza sensazionalismo, impadronendosi di una tradizione pop inglobata con naturalezza nel proprio idioma: "Death in Midsummer" è barocca e americana, sontuosa e sommessa allo stesso tempo,"No One's Sleeping" è placidamente psichedelica e timidamente rumorista, mentre "Element" si adagia su una profumata glassa orchestrale, "What Happens to People" zompetta amabile dipanando un senso di nostalgica rassegnazione, e "Futurism" torna a giocare con un songwriting anni Cinquanta di stampo girl group. I Deerhunter sono sempre gli stessi, questo è confortante, e non sfigurano proprio alla chiusura di un decennio di cui sono tra i grandi protagonisti.


Ci sono, ovviamente, molti altri lavori degni di nota. L'ultimo in ordine di tempo è lo splendido singolo di FKA Twings, che fa crescere le aspettative riguardo al prossimo album. Gli altri sono elencati qui sotto, affiancati ognuno da un brano rappresentativo.

► Sundara Karma - Ulfilas' Alphabet (RCA) - "Greenhands"

► Fontaines D.C. - Dogrel (Partisan) - "Television Screens"

► Yak - Pursuit of Momentary Happiness (Virgin EMI) - "Fried"

► Balthazar - Fever (PIAS) - "I'm Never Gonna Let You Down Again"

► William Tyler - Goes West (Merge) - "Fail Safe"

► Jenny Lewis - On the Line (Warner Bros.) - "Do Si Do"

► Big Eyes - Streets of the Lost (Greenway) - "Lucky You"


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