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Ricordati di respirare

racconto matteo castello ricordati di respirare
L'acqua era fredda, immergendosi. E, mentre si immergeva e la pelle si tendeva intirizzendosi, pensava che quella era stata una giornataccia.
Il rito della piscina dopo il lavoro -rito al quale si era dimostrato devoto da dieci anni- aveva sempre assunto i tratti di una purificazione. L'acqua scioglieva i muscoli, il movimento scuoteva il corpo e gli ridonava vigore. Era a tutti gli effetti quello che si chiama un toccasana. Eppure quel giorno era distratto. Non poteva non esserlo, visto che aveva perso tutto. A dire la verità, però, era già distratto quella mattina, quando per un attimo era passato col rosso al semaforo dell'incrocio poco distante da casa. Se ne era accorto in tempo, aveva inchiodato facendo fischiare rumorosamente le gomme della sua Mercedes. Aveva la testa altrove. Arrivato in ufficio si sentiva stanco, spossato. Eppure quello era un lavoro per gente attiva, attenta, veloce di pensiero. L'intuito, gli avevano detto, lo devi coltivare, lo devi rendere operativo, efficiente. L'intuito, qui, deve essere al servizio del profitto, non un azzardo. Una tecnica, non un'arte. E lui di intuito ne aveva sempre avuto pochissimo, compensandone la mancanza con una devozione ed una minuziosità fuori dal normale. Il risultato era stato, fino a quel giorno, duplice: nessun errore e una montagna di stress.

Quella mattina, però, era iniziata storta, era deconcentrato. Per la prima volta non aveva voglia di soffermarsi su ogni singolo passaggio, di controllare due o tre volte ogni cifra. E così i 4 milioni erano diventati 4 miliardi. L'ordine di vendita errato aveva scatenato l'impazzimento degli azionisti, che si erano affrettati a vendere i loro titoli, in un attimo considerati rischiosi, generando così una corsa al ribasso. Tutta la differenza tra le parole “milioni” e “miliardi” era costata alla banca d'affari una perdita gigantesca, che aveva innescato -come se non bastasse- un effetto domino in borsa, con valori impazziti che scendevano e altri che si impennavano, vedendo approdare su lidi più sicuri gli investitori in cerca di garanzie. Il licenziamento era il male minore, a quel punto. Di certo ci sarebbe stato anche un processo, forse un risarcimento da pagare. Però la sensazione, almeno nel momento in cui l'acqua lambiva la sua pelle tesa, era quella di una liberazione. Scopriva che quel mondo asfissiante era uscito dalla sua vita, e ne era uscito piuttosto ferito.

Continuava però a sentirsi scombussolato, in preda ad uno strano torpore che obnubilava i pensieri, sottraendo lucidità e nitidezza. Una leggera estasi unita ad un filo di angoscia. Una spinta ed eccolo solcare l'acqua clorata della vasca. Una, due, tre, quattro, cinque, sei bracciate, e poi su a prendere respiro, alla settima. Una nuotata lenta, aerobica, a cui si era dedicato nel tempo per guadagnare in resistenza e capacità polmonare. Il risultato era un'azione fluida, sciolta, elegante. Una cosa, una soltanto, aveva fatto sempre bene, pensandoci -e ci pensava- : respirare. Non aveva mai perso la calma, non era mai entrato nel panico. Tutto dipende dalla respirazione: se controlli a dovere i flussi di ossigeno in entrata e uscita puoi affrontare ogni situazione. Una bella inspirazione profonda, poi un'espirazione veloce, ampia. La calma, il controllo. (...cinque, sei, su a respirare, di nuovo giù...)

Aveva avuto un sussulto, qualche ora prima in ufficio, quando si era accorto di quell'errore imperdonabile. Per un attimo gli si era gelato il sangue, aveva sentito un fiotto di sangue alla testa, era diventato paonazzo. I respiri si erano fatti frenetici, scomposti. Era rimasto immobile per un po', poi però aveva riassunto il controllo. Inspira... espira. Si era alzato e, con tutta calma, era andato ad avvisare il direttore di quanto successo. E poi tutto il resto: gli insulti, le grida, le telefonate frenetiche, il licenziamento.

Adesso però era in acqua (...tre... quattro... cinque... ancora una e poi su a respirare...) e stava spingendo con le braccia la massa d'acqua dietro di sé, creando una scia, scorrendo veloce. Faticava, tanto che una volta finita la sequenza di bracciate si trovava a cercare avidamente l'aria, quasi senza più un filo d'ossigeno in corpo. La sua testa però, man mano che aumentavano il numero di vasche completate, stava affollandosi di una confusione nuova. Di qualcosa che assomigliava alla disperazione. (… sei, testa su a respirare, di nuovo sotto, uno... due...). Oltre al lavoro, in tutti quegli anni, non aveva costruito nulla attorno a sé. Stessi ritmi, stesse frequentazioni, divenute peraltro assai rade nel tempo. Nessuna ambizione, nessuno strappo alla regola. Casa, ufficio, piscina e poco altro. E pensandoci sentiva che il vuoto lo stava sommergendo.

In tutto quel rimuginare si ritrovò, d'un tratto, completamente svuotato. La sua testa era vuota. C'era solo il suo corpo in azione e l'acqua. Per un attimo ci fu come uno strappo, uno scossone, una specie di catarsi. Cadeva con un tonfo da quella sua routine e si ritrovava spoglio e inutile, privo di desideri e voglie.
Si rimise a contare. Tre... quattro... Però no, avevo appena immerso la testa! ... Due... tre... Si rese conto di aver perso il conto. Non sapeva più quanto gli mancava per arrivare alla boccata d'aria di cui iniziava a sentire tremendamente il bisogno. Ripartì da zero. Uno... due... Però era davvero troppo! Da dieci anni non sbagliava un conto, una cifra, un'operazione. Oggi invece aveva confuso 4 milioni per 4 miliardi, e adesso non si ricordava più a che numero di bracciata fosse arrivato. (… tre... quattro... quattro?). Era troppo! Non era difficile contare fino a sei! Arrivi a sei, che è dopo il cinque, dopo esserti lasciato alle spalle il quattro, e poi respiri! Facile!

Decise di riniziare: era allo stremo, il bisogno di ossigeno era opprimente. Ma non poteva permettersi un secondo errore, doveva completare la serie, non cedere al tentativo di mollare. Nessuna approssimazione questa volta. Era ormai cianotico, sentiva i polmoni scoppiare. Ma ricominciò il suo conto. Uno... Due (accidenti ho perso il lavoro, e adesso che faccio?)... Tre (dove vado, soprattutto? Che faccio domani? Mi sveglio... e poi?)... Quattro (sono inutile, la verità è questa. Non ho niente da fare, nessuno da cui andare, ho buttato dieci anni della mia vita!)... Quattro. Quattro? Non l'avevo già contato, il quattro? Era furente ed esausto. Provò ancora a ripartire da zero. Senza errori. L'unica cosa che aveva fatto in tutto quel tempo, oltre a respirare nel migliore dei modi, era stata essere corretto, preciso. Questa la sua unica virtù: occorreva omaggiarla fino in fondo.

Vedendo quell'uomo galleggiare a faccia in giù, il bagnino ci mise un secondo per tuffarsi e raggiungerlo. Lo afferrò e lo girò. Aveva la bocca aperta, aveva bevuto molta acqua, gli occhi spalancati. Non respirava, il cuore non batteva. Provò a fargli un massaggio cardiaco, una volta tiratolo fuori dalla vasca. Nel frattempo arrivò l'ambulanza. Il tentativo di rianimazione durò un buon quarto d'ora. Fu tutto inutile.

Una volta, durante una delle sue prime interrogazioni al liceo, il professore lo blocco a metà del suo annaspante tentativo di rispondere alla domanda. Era partito in quinta, era teso, in panico, la faccia tutta rossa e il fiato corto. Il professore gli disse: “sei preparato, ma devi ricordarti di respirare, di tanto in tanto”. Quello era stato il suo ultimo pensiero, prima di cedere e annegare. Si era sentito, inutile dirlo, un po' stupido.
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