Non pensavo che saremmo riusciti a cambiare le nostre abitudini così in fretta.
Lo disse mentre un soffio di vento piegava pericolosamente le lingue di fuoco, portandosi appresso scintille e fumo.
- Arriva come un ladro, il vento. Se sei bravo lo riesci a sentire prima, però.
- Come?
- Il bosco lo anticipa, è come se trattenesse il respiro.
Provarono a trattenere il respiro anche loro due. Gli unici rumori erano quelli del cricchiare delle fiamme, del cigolare dei tronchi, delle grida lontane di qualche animale.
- Non è vera la storia del silenzio.
- Cosa vuoi dire?
- Voglio dire che la gente che va nel bosco per trovare pace non sa di cosa parla. È rumorosissimo il bosco.
- Sì, ma non è la stessa cosa degli altri rumori. Qui ci sono… suoni.
- È strano pensare agli altri rumori, ora che non ci sono più.
Era successo tutto in un attimo. Per qualche ragione nel giro di mezza giornata la gente viva sul pianeta si era dimezzata. Le persone si erano semplicemente accasciate al suolo. Sul posto di lavoro, guidando l’autobus, sedute in bagno, facendo la spesa, attraversando la strada. Quindi tutto aveva smesso di funzionare. Il collasso era stato questione di pochi giorni. Il raffinato sistema di coordinamento della vita sociale si era sbriciolato. Nessuno aveva mai pensato che la normalità fosse frutto di un così fragile meccanismo di interazione collettiva. La fornitura di energia, la gestione del sistema fognario, il trasporto merci, le squadre di intervento nel caso di incendi, i tecnici degli ascensori. La reazione era stata a cascata: un guasto aveva portato ad un altro guasto, e l’effetto domino aveva innescato uno sgretolamento inesorabile. La civiltà si era dissolta in pochi mesi. Le città erano diventate in poco tempo invivibili, la vegetazione era spuntata dal nulla, gli animali d’un tratto avevano preso ad infestare le strade impregnate dall'odore dell’umanità che si decomponeva.
Tanto valeva spostarsi nel bosco.
Loro due si erano trovati per caso e in principio si erano stabiliti non troppo lontani l’uno dall’altra, ma a distanza di sicurezza. L’uomo nuovo aveva imparato presto la diffidenza e il sospetto. Così si erano annusati come bestie per un po', fino a che, tacitamente, avevano iniziato a dividersi alcuni compiti. Se lei andava a raccogliere la legna lui controllava che gli animali non depredassero le poche provviste. Se bisognava riempire i secchi d’acqua lui si offriva di farlo per entrambi. E se si riusciva a cacciare più del dovuto si scuoiavano assieme le prede, e ci si divideva la carne. Così, per abitudine, la compagnia reciproca era finita col diventare qualcosa di più del mutuo soccorso. Era diventata un piacere. Il tempo aveva iniziato ad assumere un andamento sempre meno ostile, e le giornate si erano ritrovate scandite dai ritmi placidi del costruire, del raccogliere, del sedersi e mangiare, del gironzolare nei dintorni, del guardarsi la notte tra gli ultimi bagliori delle braci.
Era tempo di mettere il coniglio a cuocere. La carcassa rossastra stava infilzata su un paletto, il ghigno contrito, beffardo, come a voler accentuare il torto subito.
- A quest’ora di solito si accendeva la televisione. Ci si sedeva a tavola e il cibo era solo questione di tempo.
- Vero. Certe abitudini sono dure a morire. Poco fa mi sono guardato attorno cercando di capire dove fosse il telecomando.
Lei squittì in una risatina trattenuta che parve un singhiozzo, lo sguardo fisso sulla carne che rosolava lambita dalle fiamme.
- La televisione! Quella sì che mi manca. Eppure non ricordo cosa guardavo. Ricordo solo il gesto di scegliere un canale, il ronzio sommesso delle voci, le immagini che catturavano l’attenzione per il semplice fatto di essere colori in movimento.
Intanto le fiamme crepitavano in schiocchi secchi, animandosi su quel poco di grasso che colava dal roditore, e le ombre proiettate dai guizzi delle vampe sembravano una rappresentazione astratta di qualche teatro sperimentale.
D’un tratto sembrò che il bosco avesse nuovamente deciso di misurarsi in una delle sue prove di apnea. I due si guardarono allarmati, pronti a scongiurare il rischio di un altro attentato alla loro cena. Si strinsero l’uno contro l’altra per fare da barriera contro l’atteso soffio di vento. Non successe niente. Eppure il silenzio si protraeva, appesantendo i secondi man mano che questi si accumulavano a vuoto. Il sorriso di lei si raggelò in una smorfia poco prima che in lontananza cominciasse a risuonare un tonfo costante, che cresceva e cresceva montando con rapidità, come un grugnito sordo che lievitava dalla terra.
- Scappa! Esclamò alzandosi di scatto e tirandolo per il bavero del giaccone sgualcito.
- Aspetta, lasciami prendere il coniglio...
- Lascia stare quel cazzo di coniglio!
Fu allora che un grosso cervo passò loro a fianco come una furia, la bava alla bocca e gli occhi sbarrati dal terrore, lasciandosi appresso una coltre di rami spezzati tratteggiata da una condensa di larghi sbuffi di vapore.
Raggiunsero la rientranza nel costone roccioso a pochi passi dall'accampamento, adibita a riparo per le giornate di pioggia grazie a una struttura di rami d’abete e sacchi di tela intrecciati con spago e lacci da scarpe. Fu proprio allora che, come un fiotto di sangue sgorgato da un’arteria recisa di netto, il bosco vomitò un’orda di animali imbizzarriti, tutti in fuga da qualcosa di abominevole, di invisibile. Il frastuono squarciò il silenzio e scosse l’aria. Lei si strinse forte al corpo di lui, imponendogli di mettersi giù. Mentre si appiattivano tra la terra e la roccia, riuscì a bucare il clamore con poche parole.
- È il grande vento, stai giù!
Ed ecco che, lanciata all'inseguimento di quella valanga animale impazzita, una massa d’aria compatta e dura si schiantò sulla radura con un grido raggelante, modulato dalle mille ugole dei tronchi, dei rami, delle foglie, dei sassi. Martellante, sferzò con rabbia ritmica l’ambiente tutto intorno vorticando senza una direzione precisa, scalciando impazzita e sollevando arbusti, schegge di legno, pietre, radendo al suolo alberi e schiantando le ultime bestie tardive. Dell’accampamento improvvisato non rimase che qualche pietrone annerito del focolare, mentre le assi del loro riparo, che finora avevano retto alle tempeste più spaventose, furono spazzate via come stuzzicadenti. Solo la dura roccia rimase intonsa, abituata e piegata da forze millenarie.
Alla fine rimase solo un’eco sordo, contrappuntato dagli strascichi dell’alluvione d’aria. Alberi che cedevano, gemiti, l’oscillare delle fronde esauste. E il loro respiro. Stettero ancora un po' supini, storditi, prima di provare a mettersi seduti.
- Cosa è stato?
- Ogni tanto arriva. E ogni volta sembra peggio.
- È un disastro, non è rimasto più nulla.
L’atmosfera oramai era quella livida delle sere d’autunno, quando l’imbrunire lascia inesorabilmente posto all'oscurità. Decisero di gironzolare nei paraggi per recuperare qualche coperta, qualche utensile, qualsiasi cosa potesse essere utile per la notte.
- Vieni con me, chiese lui.
Si strinsero la mano e si inoltrarono tra le piante, incespicando tra detriti e radici, mentre il buio si faceva sempre più fitto. Raccolsero il necessario per scaldarsi, per mettere su un nuovo fuoco, per coprirsi durante il sonno. Scoprirono presto di non avere materiale sufficiente per due giacigli.
- Stenditi vicino a me.
Lui si infilò sotto la coperta di fortuna e percepì il corpo caldo che lo chiamava. Si abbracciarono forte mentre il fuoco cominciava nuovamente a borbottare poco distante. Era bello essere lì, anche se la pancia gorgogliava di fame e la paura stava ancora raggrumata sotto pelle.
- Quando tornerà il grande vento?
- Non lo so, non ha ritmi regolari. Era da un po’ che non succedeva.
- Come si fa… Come si fa vivere nell'incertezza? E se arriva mentre dormiamo?
- Non pensarci. Ci si abitua. Ci si abitua a tutto.
La stretta si fece più forte.
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