Di Matthew Lovers
«Ma lavorate fino a quest’ora?».
«Una firma anche qui per favore…»
«Nevica parecchio, avete montato le
gomme termiche?»
«Si signora. Più che la neve a
quest’ora il problema è il buio. Non riesco più a vedere i numeri civici delle
case. Per caso lei sa dov’è il numero 23 di via Chiappetto?».
«Ah guardi, abito qui da vent’anni e
non ho ancora capito nulla dei numeri civici di questa via. Ha visto che la
strada si divide in due? Provi a controllare sull’altro lato».
«Sull’altro lato ci sono i civici
pari. Ma se le dico il nome? Magari le viene in mente».
«Si certo, mi dica!».
«Giulio Dameri…le dice qualcosa?»
«Mai sentito».
«Perfetto, grazie lo stesso».
«Arrivederci!».
«Buonasera».
ARRIVEDERCI UN CAZZO. QUALCUNO MI DICA
DOVE SI TROVA VIA CHIAPPETTO 23.
Ve lo ricordate Massimo Troisi che
porta la corrispondenza a Pablo Neruda con la sua bicicletta? Ecco, scordatevi
quell’immagine romantica. Nella mia prima settimana come portalettere ho
totalizzato 52 ore lavorative. 52 ore fuori al freddo, sotto pioggia e neve, a
cercare numeri civici in frazioni di piccoli comuni della provincia. Le vie si
chiamano dappertutto nella stessa maniera. C’è via Delle Scuole a San martino e
via Alle Scuole a San Martino ma in frazione Silva. Cerchi via Tinetti ma non
la trovi. E non la troverai mai perché inizia a fine di via Marta 35. Tu non la
vedi ma lì, esattamente sul lato della casa di Franco Gerby, panettiere del
paese, c’è una strada sterrata che porta a due case. Ecco, in via Tinetti 2
abitano la Signora e il Signor Motti. I due coniugi tengono un’assidua
corrispondenza con la figlia che vive in Francia a Bourg-en Bresse vicino a
Lione. La prima volta che sono passato da loro ho dovuto suonare il clacson.
Nessun campanello, nessuna buca delle lettere. La signora Motti, la prima volta
che mi ha visto, mi ha raccontato per filo e per segno cosa fa sua figlia in
Francia.
«Non sa quanto manca a me e a suo
padre. È una gran bella ragazza, lo sa? Ma è felicemente fidanzata».
«Sono davvero felice per lei signora,
sua figlia è davvero fortunata. Io invece sono solo come un cane. Ma sa? Ci ho
fatto l’abitudine. La sera, quando riesco finalmente a tornare a casa, m’infilo
sotto le coperte e penso a quando avevo ancora una vita sociale».
Si, credo di aver risposto più o meno
così alla gentile signora Motti durante il nostro cordiale colloquio. Ma
probabilmente la signora non mi stava nemmeno ascoltando e mi ha solo sorriso.
Sono quindi andato dritto ai saluti.
«Mi perdoni signora Motti, il tempo è
tiranno! Purtroppo ora devo proprio salutarla. In macchina ho 35kg di posta e
una ventina di raccomandate ancora da far firmare. Arrivederci!».
La cosa che stupisce di più di questo
lavoro è che tutti ti salutano per strada. Molti tentano di avere una
conversazione cordiale con te. Tutti si fidano del postino. Eppure, tu non hai
tempo di parlare proprio con nessuno. Al massimo tra un saluto cordiale ed un
altro provi a recuperare informazioni preziosissime.
«Senta ma, per caso, sa dove si trova
l’abitazione di Carlo Fabbris? Ho controllato al civico 35 ma sul citofono
appare solo il nome di Rocchi e Schiappella».
«Fabbris mi ha detto…».
«Si… le viene in mente qualcosa? (più
in fretta dai…)».
«Ah ma certo! Guardi Carlo abita
praticamente all’angolo con vicolo Vercellone. L’indirizzo sulla lettera non è
corretto».
Una caccia al tesoro quotidiana.
Arrivo a casa e il mio cervello continua a cercare disperatamente numeri civici
e buche delle lettere. Percorro le vie di casa mia e noto per la prima volta
particolari che prima avrei semplicemente ignorato. Ci sono buche interne ai
cancelli e quelle esterne. La maggior parte delle buche sono prive di nomi (che
rabbia…). Ad ogni modo, tutto questo è il frutto dell’eccessiva ripetitiva di
un lavoro stressante. I primi giorni anche durante la notte sognavo di imbucare
lettere. E anche nei sogni provavo la stessa ansia causata dalla fretta che
contraddistingue questo lavoro. La paura di non riuscire ad arrivare mai più a
casa.
Quando finalmente posso godermi attimi
di relax non riesco a stare fermo. Lo scorso fine settimana ho fatto le pulizie
di casa colto da un inaspettato moto di dignità verso me stesso. Dopo che ho
lavato bagno, cucina, passato l’aspirapolvere e il mocio per terra non ero
ancora soddisfatto. La casa mi sembrava in disordine. Vari oggetti abbandonati su
scaffali, cassetti pieni di cianfrusaglie, scrivania piena di fogli e libri.
Cose a cui non avrei mai dato un peso, improvvisamente mi provocano ansia. Era
tutto fuori posto e non lo sopportavo. Ho sentito crescere in me il bisogno di
trovare il posto giusto per ogni cosa che stazionasse davanti ai miei occhi. La
penna doveva trovare un posto. Il libro doveva trovare il suo scaffale. Il plaid
sul divano doveva essere piegato. I pantaloni riposti nell’armadio con gli
altri pantaloni fino a nuovo utilizzo.
Quella sera ho pensato alle cose che
sono fuori posto nella mia vita. Alle cose che ritengo importanti ma che non
trovano risposte. Sono lontano dall’aver raggiunto obiettivi che mi ero
prefissato. Eppure, mi dico, non sta andando male. Sopravvivo decentemente.
Forse non sto condividendo abbastanza con gli altri le mie sensazioni. Sono
sempre più solo perché ho alzato di molto le mie barriere emotive. Non ricordo
nemmeno più com’è condividere del tempo assieme ad una donna. Provare amore e
legarsi ad un’altra vita.
Stanotte, probabilmente ancora
influenzato dai pensieri dello scorso weekend, ho fatto un sogno davvero
incredibile. Ho sognato che mia madre stava organizzando il mio matrimonio. Io
però non riuscivo a capire con chi mi sarei dovuto sposare. Nel sogno mia madre
sembrava davvero felice per me. La cosa del matrimonio in sé mi preoccupava ma
non avevo voglia di dare alcuna delusione a mia madre e quindi non dicevo
nulla. Dopo che mi ha fatto parlare col prete, che mi sorrideva mentre annuiva
alle parole di mia madre, ho trovato finalmente il coraggio di chiedere con chi
mi sarei dovuto sposare.
«Mamma ma con chi mi sposo?»
«Matthew ne abbiamo già parlato, non
avrai mica cambiato idea?»
«No no…»
«Hai deciso di rimanere da solo, hai
deciso di rimanere fedele a te stesso. È arrivato il momento di celebrare la
tua unione».
MI DOVEVO SPOSARE CON ME STESSO.
Dopo averlo saputo ero ancora più
imbarazzato. Eppure, tutti erano felici per me.
Stamattina, durante il mio giro per
San Martino, pensavo al sogno che ho fatto. Mi è scappato un sorriso proprio
davanti alla signora Motti di via Tinetti 2 mentre le consegnavo un pacco inviato
da sua figlia.
Forse il mio subconscio me lo ha
comunicato attraverso mia madre. Le cose trovano il suo posto in maniera naturale.
È esattamente come con il signor Giulio Dameri. Lui esiste da qualche parte, è
vicino a te anche se non riesci a trovare la sua abitazione.
Quando alla fine trovi l’amore, seppur
per te stesso, sai che è sempre stato lì con te in via Chiappetto 23. Basta
semplicemente imboccare quella strada sterrata che porta al civico che stavi
cercando. Ecco, quello è il civico dell’amore.
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