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Monsieur Tella

Nater si è fatto fregare, quel coglione, e non è la prima volta, quel furto simulato gli è costato tre anni di gabbia e per cosa?, per una bomba manomessa Cristo santo, non pensavo che sarebbe andata a finire così ma certo sapevo che non si stava parlando di una gita al mare, o meglio al faro, un faro militare per giunta, proprio per non farsi mancare nulla oltre a gioielli, ricatti, macchine taroccate, soldi, soldi, soldi, come se a Gheddafi poi importasse davvero di questa faccenda, mandare due come noi, due qualunque, a far saltare un faro di cui non sarebbe fregato un cazzo a nessuno se non fosse stato della Marina, perché qui tutti i fari sono della Marina e ci si becca otto anni solo per questo, e poi c’è da considerare il trasporto clandestino di esplosivo, quello sì è un bel reato, il più grosso casino in cui mi sono ficcato dopo le mille cazzate che ho combinato (eravamo una bella coppia io e Jean-Louis, due furfanti con due palle così, dei figli di puttana davvero, in carcere eravamo pappa e ciccia e mi sbellicavo dalle risate a sentire quella storia della truffa ai Lloyd’s, davvero, e già allora mi chiedevo: ma il conto di questi tre anni schifosi al fresco glielo faranno saldare questi libanesi o no? mai fidarsi degli arabi, lo dicevo anche allora!), e questa è stata di certo la cazzata più grossa, perché mettersi a trafficare con certa gente, con i libanesi, con pezzi grossi implicati nella politica come William Favre, quella era una cosa da cui era meglio star lontani, sì, anche perché poi ti ritrovi in questo posto del cazzo che assomiglia alla Svizzera ma non è la Svizzera, non è così precisa, così pulita,
così anonima, così tradizionale, così sterile, così identica a sé stessa come la Svizzera, qui siamo pur sempre in Italia, anche se parlano un cattivo francese, il tedesco nemmeno per sogno, e ci sono le stesse montagne, la stessa aria fredda d’inverno, e la neve, e la fonduta fatta però in modo diverso rispetto alla nostra, che è più saporita, meno da montanari, ecco, roba che se la trovi a Ginevra non ti stupisci perché ha una sua eleganza, mentre qui di eleganza ce n’è ben poca, nonostante si mangi bene, ma la gente in questo posto si impiccia dei fatti tuoi come in Svizzera non succede, o almeno non con la stessa sfacciataggine tontolona, qui invece ti entrano in camera senza chiedere il permesso e iniziano a frugare nei cassetti come se fosse casa loro, e dire che sono ai domiciliari e giro sempre con le guardie e questo dovrebbe insospettire la gente, ma va!, questi ravanano e si beccano le mie sfuriate più che legittime, visto che negli ultimi anni hanno frugato ogni piega della mia vita del cazzo, hanno ascoltato le telefonate, hanno provato a tirarmi fuori dalla bocca cose che a malapena conosco, mi hanno condannato sulla base di fottute supposizioni, per quanto non sia proprio un ingenuo, intendiamoci, di conoscenze altolocate ne ho, d’altronde per ficcarmi in questo casino non basta mica mettere un annuncio sul giornale o chiedere “scusi, mi fa mica accompagnare un bombarolo alle Tremiti?”, capirete che ci vuole fegato e ci vogliono conoscenze, e le mie le sanno tutti (povero Favre, alla fine si è ammazzato, lui è il secondo rimasto fregato da questa storiaccia… molti si chiamano così anche in Valle d’Aosta, ci penso spesso), anche se qui ad Arpuilles nessuno sembra sapere nulla, forse non leggono i giornali, e in effetti di giornalisti interessati a me non ne ho ancora incontrato nessuno, per loro sono semplicemente monsieur Tella, uno straniero qualsiasi, e si fanno raccontare ogni genere di balla e la accolgono a bocca aperta,
increduli, o con quella diffidenza poco interessata che si riserva ai racconti strampalati del solito fanfarone che tutti prima o poi incontrano, figurarsi chi gestisce un albergo dove passano inglesi, francesi, svizzeri, belgi, dove la gente vuole riempirsi di vino, cibo, vuole costruirsi un’immagine inedita per i pochi giorni in cui non è più la persona conosciuta come collega, padre, figlio, madre, o che so io, ma un cliente che arriva da lontano e che può raccontare quello che più gli piace, per esempio che invece di essere un accusato di terrorismo e eversione a cui hanno concesso i domiciliari in un posto sperduto a due passi dalla Svizzera e con discrete libertà di movimento sono un commerciante di auto d’epoca che per qualche motivo ha deciso di venire a stare ad Aosta, dove non si sta neanche malaccio in fondo, ma in un buco così non ci ho mai vissuto, però l’Hirondelle è un posto accogliente e discreto, in questi anni l’ho frequentato spesso, venivo la mattina per telefonare e quel cappuccino, gli italiani lo sanno fare proprio bene il cappuccino, e mi sono fatto proprio delle belle mangiate, certo con le guardie sempre appresso, e le bimbe della proprietaria mi fanno sentire normale, la più grande avrà dieci anni e si vede che è incuriosita, chissà, forse è l’unica ad aver capito tutto, lei e quel passeggino che non è un giocattolo ma è quello della sorellina appena nata, sì mi fanno sentire un adulto normale, soprattutto dopo quello che è successo giù a San Domino, quell’isolotto del cazzo, lui mi ha detto “aspettami un paio d’ore e torno”, aveva i miei documenti, dovevo per forza tornare indietro, tra le carte c’era anche il visto per andare in Libano e allora a quel punto saluti a tutti quanti, altro che questa farsa di processo, però quella cazzo di bomba gli è scoppiata in faccia al mio amico Jean-Louis, l’artificiere…. bella fregatura, vuoi che uno che è stato nell’esercito non sappia maneggiare una bomba?, impossibile, e però il faro era bello che distrutto e il mio amico maciullato, Jean-Louis perdio, e la polizia non ci ha messo niente ad attaccarmi un paio di manette, ci avevano visto in tanti, pensavamo sarebbe stata una cosa veloce e poi via, e invece no, la bomba è esplosa quando non doveva e da lì è partito tutto il macello successivo, dopo quella traversata che valeva anche la pena fare ma in un’occasione diversa, è bella l’Italia, soprattutto il Sud, le Tremiti sono un posto turistico mica male, certo a novembre non così tanto, ci sono soprattutto stranieri con la testa per aria, noi eravamo due altri stranieri a caso con la nostra fretta, la nostra bella macchina, i vestiti firmati e tutto quanto, niente di strano, una passeggiata serale a San Domino fino a Punta del Diavolo, un nome un programma, poi si prendeva il traghetto, si tornava sulla terra ferma e nessuno ci avrebbe mai più visto, cazzo, come ha fatto a finire tutto così, sono stati tre anni di merda, e lo sarebbero stati ancora di più se non mi avessero concesso i domiciliari, infatti sono sempre agitato e scorbutico e me ne rendo conto, ma ho le mie buone ragioni, mica sono così di natura, anche se a dir la verità mi han sempre detto di avere un caratteraccio e poi mi ficco sempre nei casini, lo so bene, mica sono un santo, tuttavia so essere di compagnia, mi piace bere, mangiare, la bella vita, ma sono anche gentile mica sono un mostro, eppure hanno parlato di me come uno che traffica con i servizi israeliani, francesi, libici, libanesi, con il controspionaggio, perché il semplice spionaggio era troppo facile, e via dicendo, una sfilza di cose che se solo la metà fosse come dicono loro a quest’ora non sarei certo ad Arpuilles in una casetta arredata come cinquant’anni fa a fare la vita del pensionato nullafacente, no di certo, e infatti adesso basta, mi han messo qui mica per altro, la Svizzera è là dietro, qualcuna delle montagne che vedo all’orizzonte è già elvetica, e ora è maggio, fa caldo e da me si sta bene, ci ho messo niente a uscire di casa, chiudere la porta, scendere a questa fermata del bus che tra poco passa in questo paesino che si chiama Gignod e da cui si vedono bene le montagne, ce ne sono due di fronte a me che sembrano due sorelle, e quella più a sinistra ha un pendio che fila giù dritto e curvo come la schiena di una donna, anche se la prima impressione a dir la verità è quella di uno scivolo, salirò sul bus, farò vedere il mio documento e l’autista non dirà niente, perché qui a nessuno frega nulla di nulla, figurarsi di me, uno qualunque che sale su un pullman in un posticino sperduto, ed eccolo che arriva arrancando, e io penso a Jean-Louis che era alto e grosso, un omone con due palle così che però è morto come può morire una mosca schifosa, schiantato, fregato, e io sono vivo e continuo a fare le sporche cose che so fare, che fregatura questa vita, “buongiorno”, mi siedo, si parte. 

* La notte del 6 novembre 1987 gli svizzeri Samuel Albert Wampfler e Jean-Louis Nater, 47 e 39 anni, conosciutisi anni prima nel carcere di Champ Dollon, sono a San Domino, nelle isole Tremiti, dopo aver attraversato l’Italia con un carico di esplosivo. Nater, ex-artificiere, piazza la bomba al radio-faro militare di Punta del Diavolo, ma qualcosa va storto e muore nell’esplosione. Wampfler, che in quel momento non è con lui, viene catturato il giorno seguente dopo essere stato riconosciuto da diversi testimoni. Aveva un visto per il Libano con scadenza il 12 novembre. 
Le prime ipotesi riguardano un possibile intrigo legato alle rivendicazioni di Gheddafi sulla sovranità libica delle Tremiti, ma nel corso del processo le ipotesi considerate saranno molte, tra cui quella di un’azione di rappresaglia per il ruolo avuto dall’Italia nella successione di Ben Ali al protetto francese Bourghiba. Uno degli uomini chiave di questo filone sarebbe stato William Favre, legato a Wampfler e possibile “ufficiale pagatore” dell’operazione, che però viene trovato morto nel suo appartamento nell’ottobre del 1988. 
Tutte le ipotesi hanno come centro una Ginevra allora crogiolo di servizi segreti mediorientali e occidentali, di traffici finanziari, di vicende di spionaggio e controspionaggio. Si punta soprattutto sulla pista libanese, visti i contatti dei due svizzeri con personalità di spicco della comunità libanese di Ginevra. Wampfler verrà condannato a dieci anni per introduzione clandestina di ordigni esplosivi e distruzione di installazioni militari, ma il 12 febbraio 1988 gli verranno concessi i domiciliari in Valle d’Aosta, prima ad Arpuilles, poi in una frazione del comune di Gignod, dove rimarrà per un paio d’anni. Durante il soggiorno in Valle d’Aosta sarà un frequentatore abituale dell’hotel Hirondelle, dove passa la mattina per fare le sue telefonate e a pranzo, sempre in compagnia di due agenti in borghese. In questo periodo telefonerà sia a William Favre, sia al finanziere Ali Hijazi, residente a Tripoli ma anche a Beirut, al centro di vicende mai del tutto chiarite. 
Nel maggio del 1990 Samuel Wampfler salirà indisturbato su un autobus diretto in Svizzera. 

Fonti: 
La Repubblica (articoli di Carlo Chianura) 
La Stampa (articoli di Vincenzo Tessandori, Anna Langone, Cesare Martinetti) 
Gazzetta del Mezzogiorno (articoli di Luca Barbieri, Nicolò Carnimeo)
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