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#01 Dischi di gennaio (con il ➒) ♋

Ma sì, perché non continuare anche in questo 2019 il giochino dei dischi decennali? L'ultimo anno, quello con il nove, è sempre catartico: annuncia la fine, induce a raccogliere l'esperienza precedente e a farne sintesi, ma anche a riflettere sul nuovo che avanza e a generare innovazioni, superamenti, nuovi tracciati. Così i dischi del '69-'79-'89-'99-'09 sono tendenzialmente summe o prefigurazioni: lavori riflessivi, riassuntivi o anticipatori, oppure veri salti nel vuoto. Come al solito scelgo quelli che più sono stati capaci di appassionarmi, cercando di abbinare un breve commento. Buon ascolto!

  ► 1969

creedence clearwater revival bayou 1969
Creedence Clearwater Revival - Bayou Country (Fantasy)

La sola "Born in the Bayou" basterebbe a rendere il disco il grande lavoro che è: quella chitarra in overdrive immersa in un lento tremolo è capace di fornire una precisa immagine dei territori paludosi della Louisiana (le Wetlands, o bayou, per l'appunto) a prescindere dal fatto che l'ascoltatore ci sa mai stato, o sappia anche solo dove si trovino. La consistenza del suono è tremolante, paludosa, intricata, miasmatica. E il piglio della progressione di accordi, lento ma deciso, unito alla grande interpretazione di Fogerty, unisce la spontaneità della jam alla raffinatezza di un songwriting di alta caratura.

Recupero blues, mitizzazione swamp-rock, vapori pichedelici: "Bayou Country" è un momento imprescindibile per lo sviluppo di quel southern rock che avrebbe spopolato di lì a poco. Un concentrato del meglio dei CCR, questo "Bayou Country", oltre che uno dei loro lavori più "minacciosi" e, per questo, affascinanti. Imperdibile.

  ► 1979

joe jackson look sharp 1979 review
Joe Jackson - Look Sharp (A&M)

La new wave è stata un calderone magico capace di fornire una chance a chiunque: post-punk incazzati, dive in cerca di aggiornamento stilistico (da Blondie a Marianne Faithfull), sperimentatori futuristico-elettronici, e anche gente come Joe Jackson. Accostato non a caso a Elvis Costello (ma aggiungerei anche Nick Lowe), Jackson era uno di quei cantautori affettati e poliedrici che potevano approfittare della nuova stagione per mettere finalmente assieme mod, piano-rock, reggae e post-punk senza che la cosa potesse sembrare nemmeno per un attimo forzata. La new wave, allora, come la perfetta cornice per fare gli strambi e far passare per eccentrico il proprio pop scattante, affilato e sfacciatamente votato a un'ascoltabilità di stampo AOR (etichetta affibbiata da un sospettoso Greil Marcus nel 1979).

Pop-wave trascinante e spigliata, dunque, che si snoda frizzante lungo una scaletta anti-noia: dalla propulsiva "One More Time" al rock'n'roll di "Throw It Away", dal revivalismo di "Is She Really Going Out With Him?" (che ricorda tantissimo lo stile degli XTC) alle contaminazioni in levare di "Look Sharp" e "Sunday Papers", dal reggae di "Fools in Love" alla tirata pop-punk di "Got the Time".  Ogni brano esprime estro, buon gusto e ottime doti compositive, tutte caratteristiche che potrebbero tornarvi utili nel caso voleste sfornare un ottimo album.

  ► 1989

new order technique 1989 review
New Order - Technique (Factory Records)

I New Order del 1989 sono quelli che si buttano a capofitto nella stagione acid-house e rave, che assimilano quanto di meglio potesse offrire l'elettronica statunitense ricodificando, senza snaturarla, la loro formula/marchio di fabbrica. Basti la prima "Fine Time", tra rullanti di drum machine, pulsare in 4/4 e gorgoglio del Roland TB-303: piccolo manifesto di celebrazione del nuovo, della sperimentazione, dell'abbandono danzereccio e drogato al futuro. Tra i tanti indizi, cito quello apparentemente più innocuo: le pecorelle di fine brano. Innocuo? No, qui si sta parlando delle campagne inglesi, degli spazi aperti, bucolici, riscoperti e ri-funzionalizzati per i rave di quella stagione (e, guardate un po', cosa mettono in copertina i KLF di "Chill Out" solo l'anno successivo?).

Ed ecco che però, con le successive "All The Way" e "Love Less", ritorniamo alla tipica forma canzone elettronica del quartetto, quella formula che sarebbe diventata uno standard imitatissimo dalla scuderia di revivalisti eighties degli anni zero (penso ai Cut Copy): tastiere sfumate, atmosfere placide e malinconiche, ritornelli ariosi, il basso di Peter Hook che sostiene le melodie. La fusione perfetta arriva con "Round & Round", fitto accumulo alternative dance di ritmi vorticosi, limpidissimi innesti melodici, torpori balearici (l'album è stato registrato a Ibiza), modernismo imperante nel tocco, nelle soluzioni sonore, nei timbri (si prenda la coda). E ancora, a far brillare la scaletta, l'indie pop a base di chitarre trattate di "Run" e l'incredibile incalzare elettro&acustico di "Vanishing Point", fitto fremere di sintetizzatori, ritmica house e quella tastiera che puntella il motivo melodico principale.

Tra quanto di meglio prodotto dalla band negli anni Ottanta, "Technique" rimane ancora oggi un faro di pop music eccentrica, creativa, coinvolgente e rifinita. Un capolavoro da non dimenticare.
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