Il Movimento 5 Stelle è diventato in poco tempo una delle principali forze politiche italiane, scuotendo il dibattito pubblico e cavalcando una montante ondata critica diretta contro la classe politica italiana, considerata corrotta e non rappresentativa (la cosiddetta casta, principale avversario del Movimento). Quella del M5S rappresenta un'esperienza anomala: guidato da un leader carismatico (Beppe Grillo), legato a doppio filo ad una realtà aziendale (la Casaleggio Associati), pervaso da una retorica che mischia elementi progressisti ad altri talvolta reazionari, fondato su una singolare concezione di democrazia diretta, l'esperimento del “non-movimento” capace di conquistare importanti posizioni istituzionali e di mobilitare, in più occasioni, grandi folle, è ancora nel pieno del suo sviluppo. Una realtà in evoluzione, quindi, impegnata a fare i conti con il suo mutato peso (e il suo rinnovato ruolo) all'interno del panorama politico. Esistono però alcune caratteristiche che connotano, fin dalle origini, il Movimento, caratterizzandone l'identità e la proposta: una su tutte la critica della democrazia rappresentativa in nome di forme dirette di esercizio del potere da parte dei cittadini. In nome di questa presunta “superiorità democratica” il M5S sfida tutte le altre forme di associazionismo politico presenti in Italia. Quanto è democratico il Movimento di Beppe Grillo? La questione è tutt'altro che scontata, e dietro l'apparenza sembra celarsi una realtà piuttosto controversa.
L'organizzazione: a cosa serve
Prima di tutto una premessa. Perché si formano le organizzazioni? La risposta di Mancur Olson (1971) è che “uno scopo che caratterizza la maggior parte delle organizzazioni […] è il perseguimento degli interessi dei propri membri”, specificando poi che questi interessi sono “per la maggior parte interessi comuni”. L'azione organizzata, quindi, permette ai singoli di perseguire più facilmente e più efficacemente interessi condivisi con altri individui. Similmente Kenneth Arrow (1974) scrive che l'azione collettiva rappresenta un “mezzo con il quale gli individui possono realizzare più pienamente i loro valori”, specificando in particolare come l'organizzazione tra più persone sia necessaria per ottenere i benefici dell'azione collettiva in tutte le situazioni dove si verificano fallimenti del sistema dei prezzi (nel ridurre l'incertezza, nell'allocare ottimamente il rischio, nell'incapacità di fornire un criterio per risolvere problemi distributivi o di gestire le esternalità). L'azione collettiva riesce a estendere “il dominio della razionalità individuale” in due modi: (a) regolando la competizione derivante dalla scarsità delle risorse e (b) garantendo i guadagni legati alla specializzazione che deriva dalla cooperazione. Lo scopo dell'organizzazione, in sintesi, è quello di “sfruttare il fatto che molte decisioni richiedono la partecipazione di molte persone per la loro efficacia”(*).
Democrazia diretta e indiretta
Quello che qui ci interessa, data per scontata la natura di “organizzazione” del M5S, è chiarire (a) quale sia l'interesse comune perseguito dal movimento (e quale sia, quindi, il gruppo di interesse di riferimento) e (b) quale sia la specifica forma organizzativa assunta del movimento. Lasciando il primo punto ad una breve riflessione successiva, cercherò di analizzare in particolare la seconda questione, soffermandomi in particolare sulla “discriminante democratica” che rappresenta un punto chiave dell'auto-rappresentazione “grillina”. Da quando è nato, infatti, il M5S si è posto come una nuova forma di organizzazione politica di rottura con la tradizione partitica italiana, caratterizzata dall'assenza di forme di rappresentanza intermedia tra gli eletti e gli elettori, per un modello di democrazia diretta incentrato sull'uso del web (in particolare del sito internet del movimento) come forma di dibattito e selezione dei rappresentanti (o portavoce) del movimento. Una “non-associazione” de-materializzata e virtuale, come recita l'art.1 del “non statuto”:
“Il “MoVimento 5 Stelle” è una “non Associazione”. Rappresenta una piattaforma ed un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel sito www.movimento5stelle.it. La “Sede” del “MoVimento 5 Stelle” coincide con l'indirizzo web www.movimento5stelle.it”.
Riguardo alla rottura con il “partitismo” italiano e con la rappresentanza, lo statuto parla chiaro. All'art. 4 si legge:
“Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi”.
Al di là della conformazione “virtuale” del movimento (la quale ovviamente non rappresenta che una delle sue dimensioni, visto l'elevato potere di mobilitazione dimostrato in più occasioni e il materializzarsi, nel tempo, di un gruppo dirigente istituzionale), quello che interessa è qui l'idea di democrazia portata avanti dal movimento, e in particolare la natura (per chi scrive controversa) della sua operatività in forma “diretta”.
La democrazia diretta, come ricorda Norberto Bobbio (1998), rappresenta perlopiù un “ideale-limite” che nelle moderne democrazie affianca (come nel caso dei referendum, non a caso strumento straordinario) il più diffuso strumento di democrazia rappresentativa, secondo cui gli aventi diritto al voto non si riuniscono in un unico luogo (che sia la piazza o il web) per deliberare, ma eleggono dei rappresentanti, su più livelli, che assumeranno il ruolo di “decisori”. Come affermava lo stesso Rousseau (cui è intitolata la piattaforma di voto virtuale del M5S), una “vera democrazia” (cioè una democrazia diretta) non sarebbe mai esistita a causa delle rigide condizioni richieste per la sua realizzazione: “se ci fosse un popolo di dèi, si governerebbe democraticamente”.
Al di là della concezione presentata da Rousseau nel suo “Contratto Sociale”, l'estensione oltre certi limiti della democrazia diretta rappresenta una proposta che Bobbio definisce addirittura “insensata” (1995). L'idea, infatti, che il cittadino debba decidere in prima persona su tutto (o su molto) implica una sorta di “totalitarismo” democratico per niente auspicabile.
Scrive Bobbio: “il cittadino totale e lo stato totale sono le due facce della stessa medaglia, perché hanno in comune […] lo stesso principio: che tutto è politica, ovvero la riduzione di tutti gli interessi umani agli interessi della polis, la politicizzazione integrale dell'uomo”.
Uno degli effetti di questo richiamo costante alla deliberazione porterebbe facilmente a conseguenze indesiderate, tra cui all'allontanamento dalla partecipazione, all'apatia politica, lasciando ai leader “l'onere” dell'impegno e dell'attivismo politico.
Qual è allora la specificità della democrazia rappresentativa? Per prima cosa occorre specificare che “democrazia rappresentativa” non è la stessa cosa di “democrazia parlamentare”, che invero rappresenta una sua specifica conformazione. La democrazia rappresentativa prevede soltanto che non sia il popolo a prendere direttamente le decisioni, ma che questo elegga dei rappresentanti preposti a tale funzione.
Pare lecito individuare, al centro della retorica grillina, più che una coerente messa in discussione del sistema di rappresentanza (che anzi, per quanto in forme peculiari, sopravvive all'interno dello stesso Movimento), una critica alla degenerazione del partitismo e del parlamentarismo italiano (difeso, tuttavia, in occasione del referendum sulle riforme costituzionali). Alcune delle critiche al sistema politico mosse da Grillo, poi, rappresentano istanze ben radicate nel dibattito politico italiano: si prenda la critica al mandato imperativo, storicamente legata alle posizioni delle aree marxiste.
Detto questo occorre notare che l'idea di democrazia così come decantata dal movimento grillino è decisamente limitata e arbitraria. È palese, innanzitutto, un attaccamento piuttosto feticista agli aspetti formali e procedurali della democrazia, senza particolari considerazioni riguardo agli aspetti sostanziali, di principio (mai si parla di democratizzare la società, ma solo di rendere più diretta la partecipazione alle istituzioni politiche, statali, di governo).
Gli aspetti demagogici, poi, non mancano: il “popolo” di cittadini non viene mai scorporato nei diversi gruppi d'interesse che lo compongono. Grillo si rivolge a una platea vaga, omogenea, indifferenziata, aggregata sulla base di un dualismo dalle tinte manicheiste (noi: gli onesti; loro: i disonesti) e secondo rivendicazioni generaliste incapaci di riflettere il pluralismo e il conflitto sociale, oltre che di chiarire quale sia il “posizionamento” del Movimento sui temi cruciali della distribuzione del potere all'interno della società e della distribuzione dei benefici e degli oneri nel processo di riproduzione materiale.
Esiste, infine, una problematica interna al modo di funzionamento del Movimento: gli aventi diritto al voto (gli iscritti al sito del Movimento) sono un flusso incostante e variabile di utenti, la cui indefinitezza e liquidità è tale da non materializzarsi (eccetto in occasione delle elezioni) in un “corpo” elettorale o in una base di militanti, rimanendo una sommatoria di preferenze, un “traffico” virtuale suscettibile degli influssi “ordinatori” e “strutturanti” del leader, il quale -anche grazie al controllo dello strumento operativo entro cui avvengono le procedure di deliberazione e discussione- fissa in ultima istanza i confini della partecipazione e i temi del dibattito.
Un “partito” personalistico
La forma di potere ideata da Grillo e Casaleggio prende dunque le ambigue sembianze di uno strumento di legittimazione democratica che, lungi dal procedere dal basso verso l'alto (come è proprio della tradizione democratica), esclude dal processo di validazione democratica i “titolari” del sito stesso (e quindi i leader del Movimento), i quali sono esclusi da forme di consenso che non siano quelle plebiscitarie (non prevedendo dunque la possibilità di revoca. La carica di Beppe Grillo non è elettiva, ma rappresenta -assieme alla figura del “gestore” del sito web- una sorta di “potere invisibile” non controllabile dalla base degli elettori, i quali hanno solo il potere di scegliere dei rappresentanti a loro volta legati al “capo politico” secondo un rapporto di dubbia natura (basti pensare al ruolo dei probiviri, votati su proposta dello stesso Grillo).
I poteri del capo politico (non eletto) sono trasversali e ubiqui, e di fatto garantiscono a Grillo il ruolo di unico vero “centro direttivo” del Movimento. I poteri del capo politico, previsti dal regolamento, sono i seguenti:
- vigilare sull'uso del simbolo, concesso solo nelle manifestazioni da lui espressamente autorizzate;
- proporre modifiche al “non statuto” e al regolamento, oltre a proposte programmatiche;
- determinare le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a consultazioni elettorali nazionali o locali;
- richiedere la ripetizione delle votazioni regionali, locali, del “non statuto” e del regolamento;
- indire l'assemblea mediante votazione in rete;
- annullare o modificare le sanzioni irrogate dal collegio dei probiviri o dal comitato d'appello;
- in caso di disaccordo con decisioni assunte dal collegio dei probiviri o del comitato d'appello, rimettere le decisioni ad una votazione in rete di tutti gli iscritti;
- proporre i nomi dei membri del collegio dei probiviri.
Il ruolo del leader all'interno del Movimento è centrale, e rappresenta una sorta di motore immobile che ha il potere di creare, correggere e perfezionare in modo arbitrario le dinamiche da lui messe in moto. La democrazia grillina ha le sembianze di una “democrazia autocratica”, dove di tutto si può discutere tranne che della legittimità del capo, che anzi determina e concede benevolmente predeterminate forme di espressione democratica all'assemblea degli iscritti, non fornendo loro tuttavia strumenti di tutela dall'abuso di potere. In una simile configurazione consenso e obbedienza rischiano di coincidere pericolosamente.
In questo sembrano di gran lunga più avanzate e democratiche, spiace dirlo, le “vecchie” forme partitiche, che -degenerazioni a parte- rappresentano complessi sistemi di pesi e contrappesi volti ad una rappresentanza equilibrata delle posizioni e di controllo da parte della base (minoranze comprese, che all'interno del Movimento spariscono tra le statistiche di voto, non avendo alcun ruolo politico) dell'operato dei vertici.
Conclusione: da che parte sta il M5S?
Il Movimento 5 Stelle vive di limiti e contraddizioni, in parte a causa della sua “giovane” età, in parte a causa di tendenze strutturali per nulla rassicuranti. Il principale tratto regressivo del Movimento è costituito dalla natura opaca della sua concezione democratica: un'organizzazione verticistica, dove gli indirizzi politici principali sono rimessi a un capo non revocabile, rischia sia di inasprire le proprie relazioni interne, creando le condizioni per futuri contrasti (di cui abbiamo avuto già diverse avvisaglie) tra i nuovi gruppi dirigenti e il capo politico, sia di promuovere un complessivo modello sociale dispotico, avverso all'idea stessa di rappresentanza strutturata degli interessi di determinate istanze sociali (in particolare quelle dei lavoratori: si pensi agli attacchi allo strumento del sindacato).
Un'ultima annotazione è doverosa. Finora il Movimento ha fatto propria la retorica del “né di destra né di sinistra”, mostrando anche in questo campo un attaccamento alla terminologia di stampo formalistico, dimenticando (?) che quando si parla di destra e sinistra si parla di un determinato posizionamento rispetto a forze sociali reali, spesso contrapposte tra loro, e non di mere categorizzazioni politiciste. Grillo è progressista o conservatore? Sta dalla parte dei lavoratori o dei “padroni”?
Finora, al centro della comunicazione politica ufficiale del Movimento, si è scelto di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Nella polemica contro i sindacati, ad esempio, affermando che sì questi devono scomparire, ma che le aziende devono appartenere anche ai lavoratori (una sorta di terza via 2.0). Stesso discorso per quanto riguarda il problema delle migrazioni: il Movimento alterna proclami securitari a slanci umanitari, in un gioco tutto teso all'inseguimento dell'opinione prevalente e al posizionamento tattico rispetto all'avversario principale su questo tema (la Lega Nord). Impostazione condivisa anche per quanto riguarda il tema programmatico dell'ambiente, tra soluzioni tecnocratiche, tutte basate sul ruolo congiunto di aziende innovative e di liberalizzazione parziale del mercato, e narrazioni comunitariste di stampo “decrescente”.
Il gioco del “siamo per le idee buone, volta per volta” è destinato a creare tensioni e approfondire i contrasti all'interno di un movimento che non ha esplicitato un proprio metro di giudizio univoco per definire su quali basi valutare la cosiddetta “bontà” delle idee.
Sono convinto che Grillo abbia precise posizioni in merito. Credo però che la strategia di compattare ideologicamente la propria base (ponendosi come forza interclassista capace di parlare con i lavoratori precari, la piccola classe media in crisi delle aree depresse, parte della classe imprenditoriale e della borghesia “illuminata” delle zone metropolitane, con strati di frustrazione sociale di varia natura) grazie alla raffigurazione di grandi nemici impersonali (l'Europa, la casta, la corruzione), finora sia risultata vincente, permettendo al M5S di raccogliere una consistente massa critica. Una strategia, però, che non potrà durare per sempre: prima o poi i nodi dovranno venire al pettine, e il Movimento dovrà necessariamente rendere noto a quali interessi l'organizzazione di Grillo intende dare una risposta. Suppongo che la direzione intrapresa sarà tutt'altro che progressista, ma, onestamente, non sono per niente sicuro di voler arrivare a togliermi il dubbio.
(*) Va fatto un piccolo appunto. Olson fa notare come l'efficacia delle organizzazioni sia tutt'altro che scontata: questo perché non è sempre nell'interesse personale dell'individuo razionale agire in nome degli interessi comuni. Specie nelle organizzazioni numerose, l'individuo è consapevole che l'ottenimento del bene comune (che in quanto tale è indivisibile e generalizzato) non richiede il suo diretto contributo, e quindi non rientra nel suo interesse sostenere i costi di un'azione collettiva di cui comunque si godranno i frutti. Sono richieste quindi forme di coercizione o di incentivo personale che motivino i membri del gruppo a spendersi per la causa comune Sarebbe interessante analizzare le implicazioni di tale considerazione per quanto riguarda il contesto virtuale e di affiliazione debole che lega i simpatizzanti del M5S alla sua struttura organizzativa.
0 commenti:
Posta un commento
Commenta e di' la tua. Grazie!