Oggi, come si diceva, è il tempo della maturità. Le poche (poche davvero) sbavature dell'album di tre anni fa qui scompaiono del tutto, le componenti sperimentali trovano una sistemazione ben più organica, divenendo parte non scomponibile dello scorrere dei brani, il songwriting si affina rendendosi autorevole, a tratti maestoso. Il gioco è fatto: una sorta di "Yankee Hotel Foxtrot" degli anni '10, un capolavoro di sintesi tra generi che inventa una sorta di space-heartland rock, operando sulla recente tradizione americana (Dire Straits, Bruce Springsteen, Tom Petty) facendole vestire panni ibridi, frutto di espansioni sonore che potremmo sommariamente ricondurre al contemporaneo recupero di certa neo-psichedelia sfumata ed espansa.
"Under the Pressure" sancisce questo nuovo corso definendo un processo compositivo che sarà marchio di fabbrica dell'album tutto: un flusso ininterrotto sviluppato su pochi accordi, irrobustito progressivamente da arrangiamenti strutturanti, che danno profondità e consistenza dreamy al songwriting di Granduciel. Pennellate traslucide di chitarra, rintocchi echeggiati di piano, ondeggiare di layers di synth (senza contare il sax che si infila di traverso nei rari spazi delle textures): il tutto sospinto da una ritmica battente che si annulla con la lunga e rarefatta coda ambient del finale. Arrangiamenti strutturanti, si diceva, dediti allo sviluppo verticale dei brani, al legame fluido delle parti, in un continuo ondeggiare tra ispessimenti sonori in espansione ed implosioni ovattate, alimentando una perpetua tensione estatica, mentre le composizioni sfoggiano una grande dimestichezza melodica: si prenda la splendida "Red Eyes", brano dall'anima indie-pop canalizzato in un crescendo incessante, immerso in una soluzione sonora che si allarga seguendo le linee droniche di synth e il motivo colorato di chitarra solista; o anche il capolavoro "An Ocean in Between Waves", che si dipana a partire da un fitto nugolo di riverberi sfumati che evolvono progressivamente facendosi più fitti ed infuocati, accompagnando un Granduciel in stato di grazia attraverso uno dei pezzi più convincenti del lotto. I brani memorabili sono però tanti: "Eyes to the Wind" è da amore istantaneo, così come "Burning", gioiellino folk-rock di chiara ispirazione Springsteeniana.
Non mancano, poi, deviazioni consistenti, seppur pienamente integrate nell'estetica complessiva: "Disappearing" si contamina delle incursioni sophisti-pop del Destroyer di "Kaputt", immergendo la composizione in una soluzione onirica e dai contorni sfumati, dove ogni elemento è utilizzato per creare consistenze liquide, fluide: dal basso fretless, alle parti riverberate di piano, fino agli strascichi di armonica e steel guitar. E anche qui lo sforzo principale è quello di creare atmosfera, come si capisce dalla lunga coda in lento fading. "Suffering", dal canto suo, rappresenta la ballad definitiva, mettendo tutti gli elementi finora passati in rassegna al servizio dell'andamento morbido del brano in questione, immerso nei riverberi di synth e nei rintocchi di wurlitzer.
Un album, questo "Lost in the Dream", che ha richiesto, non a caso, un lungo tempo di gestazione (le registrazioni sono partite a fine 2012): sforzi premiati, perché la band di Adam Granduciel spicca definitivamente il volo, raggiungendo un sontuoso traguardo. Un disco che fa qualcosa di grande, imponendosi da subito come un lavoro con il quale, d'ora in poi, si dovranno necessariamente fare i conti.
Recensione tratta da: http://www.storiadellamusica.it/indie_rock/indie_rock/the_war_on_drugs-lost_in_the_dream(secretly_canadian-2014).html
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