Cerca nel blog

Recensione ► Swim Deep - Mothers (RCA, 2015)


swim deep mothers psichedelia recensione
Li avevamo lasciati con un trillante gioiellino indie pop in salsa baggy e ora eccoli con un roboante, grasso e grosso caleidoscopio psichedelico. Per quanto “Where the Haven Are We” (2013, RCA) fosse un gran bel lavoro (songwriting frizzante, ricco di intuizioni, per ricche tavolozze pop), con “Mothers”, registrato tra Bruxelles e Londra con l'aiuto del producer Dreamtrak, le cose si fanno immensamente più serie.

We pushed our tinyugly heads to the limit”, racconta il frontman Austin Williams, rendendo bene l'idea del nuovo corso preso dai suoi Swim Deep, apparentemente impegnati a dar forma ad una sorta di “Screamadelica” del futuro (esagerazione? No, parola di Williams stesso). A partire da “One Great Song and I Could Change the World” si viene catapultati in un tripudio di sintetizzatori che scintillano e incalzano sullo sfondo, lanciandosi ora in arpeggi spaziali ora in dense frasi melodiche. Ogni suono è trattato, riverberato, espanso, come se fosse riprodotto in orbita, mentre il brano muta continuamente forma, passando in rassegna riff di chitarra glam settantiani, pigli alternative dance anni Novanta, ruvidità psichedeliche futuriste. Se “To My Brother” aggiorna i suoni Madchester grazie ad un'efficace rilettura dei canoni balearic/acid house che, pur in memoria di gente come Happy Mondays e Paris Angels, riesce ad integrare elementi inediti (come ad esempio il codazzo psych da capogiro), un brano come “Heavenly Moment” si butta a capofitto in un astrattismo drogato, liquido, disturbato da increspature glitch, rivelando quanto i “limiti” dei cinque musicisti siano stati messi alla prova.

Tutto “Mothers” ondeggia genialmente tra esuberanti bozzetti di pop acido (dal movimento acustico di “Green Conduit”, assediato da ingombranti partiture electro, passando per l'irriverente e catchy “Namaste”, rinforzata dai massicci interventi delle tastiere, fino alla splendida “Grand Affection”, scintillante e avveniristico ibrido di torpori baggy e sonorità synthpop) e conturbanti esperimenti electro-psichedelici (“Is There Anybody Out There”, dalla squisita consistenza pop, eppure costantemente caricata di arrangiamenti stordenti -le pulsazioni sintetiche, le chitarre liquide e distorte, il basso roboante che riempie ogni spazio, una produzione all'insegna dell'espansione cosmica di ogni suono-, o l'epica “Imagination”, vertiginoso inno elettronico).


Se tutto questo non dovesse bastare, ecco che un brano come “Fueiho Boogie” sembra fatto apposto per vincere le resistenze degli ascoltatori più esigenti: brano-monstre, moderna rave music, otto minuti di copula tra martellare krauto e manipolazioni elettro che finisce col generare una coda efferata, tripudio di breakbeat stretchati e synth irraggianti. Un brano che rivaleggia con il meglio della nuova leva psichedelica odierna (leggasi Horrors e TOY) e che mette un bel punto finale ad una scaletta mozzafiato, senza cedimenti, e consacra gli Swim Deep tra le realtà più appaganti del pop contemporaneo.


Share:

0 commenti:

Posta un commento

Commenta e di' la tua. Grazie!