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Sul programma di CPI - Per una critica

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Cosa c’è di male nel votare i fascisti? 

Cosa c’è di male in CasaPound?

Sono domande che a molti potrebbero sembrare scontate, ma che in realtà richiamano la necessità di attualizzare, specie dopo oltre settant’anni dalla sconfitta del nazi-fascismo, le ragioni contro quella specifica idea di organizzazione sociale. È sufficiente demonizzare il fascismo richiamandosi agli orrendi crimini passati, o ricordando il sacrificio dei nostri nonni (per molti ormai diventati bis-nonni)? No, non basta, soprattutto in una fase di declino culturale profondo. Il culto della memoria non può essere l’unico strumento per contrastare i moderni fascismi che, pur richiamandosi a quella storia (debitamente rimaneggiata tramite ben studiate operazioni negazioniste), trovano la loro ragione d’essere nelle risposte date ai fenomeni che interessano il nostro tempo, nelle contraddizioni vissute dalle persone in carne e ossa che vivono il presente e che nulla hanno da spartire con un passato che sempre più appare come un pallido fantasma rievocato nelle occasioni ufficiali.

Far finta che l’unico fascismo sia quello “storico” significa ignorarne le nuove configurazioni, prestando il fianco ai camaleontici e maldestri tentativi di chi vorrebbe riproporre gli stessi messaggi di allora dopo una bella “ripulita” generale. I nuovi fascismi, che hanno approfittato degli spazi lasciati a disposizione da una politica che ne ha minimizzato la portata (o che addirittura ne ha sdoganato e legittimato la presenza nell’arco istituzionale), andrebbero intesi come risposte reazionarie agli effetti sociali provocati dalle politiche neo-liberiste degli ultimi decenni.

E allora, perché oggi il fascismo è pericoloso? Perché dovremmo contrastarlo con forza? 

Qualche risposta si può trovare dando un’occhiata al programma politico di CasaPound, forza che meglio descrive il tentativo di celare dietro a forme nuove e accattivanti il logoro frasario del ventennio mussoliniano. Ciò che rende minaccioso tale programma, più che il generale copia-incolla da testi come “La dottrina del fascismo” (1932) o i “18 punti di Verona” (1943, alla faccia del “fascismo del terzo millennio”!), è proprio la sua natura di risposta incattivita alle storture, ai problemi - ma anche alle conquiste date per acquisite - della società odierna. La minaccia sta nel suo rappresentare un’opzione possibile, capace di risolvere le contraddizioni del presente prefigurando forme di prevaricazione reali, tracciando percorsi alternativi e per nulla desiderabili in reazione alla crisi del presente.

Iniziamo dal primo paragrafo del programma, copiato dalla “Carta del Lavoro” del 1927.

“La nazione italiana deve tornare ad essere un organismo avente fini, vita e mezzi d’azione superiori, per potenza e durata, a quelli degli individui, divisi o raggruppati, che lo compongono. Deve tornare ad essere una unità spirituale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato.”

Lo Stato, per CasaPound, è un organismo, quindi un essere vivente superiore dotato di una sua propria volontà alla quale ogni altro interesse, che sia individuale o di gruppo, è subordinato. Ogni interesse “particolare” ha senso solo in quanto contribuisce alla realizzazione dell’interesse collettivo, cioè a quello dello Stato.

Cosa c’è di più mistificante e pericoloso di questa concezione totalitaria di stato-nazione? Gli individui e i gruppi sono concepiti come nient’altro che appendici di un'entità astratta dai contorni religiosi e mistici (un “riferimento spirituale”), verso cui far convergere ogni sforzo, ogni tensione, ogni aspirazione. Negare dignità all’individuo in quanto tale e creare un tutto armonico capace di omogeneizzare la pluralità degli interessi interni alla società, rappresentano gli immediati corollari di questa visione. Non solo: pensare allo Stato come a un organismo naturalizza qualsiasi direttiva proveniente dall’autorità, celandone la natura contingente e parziale. Un tale ente riconosce certo, nella sua benevolenza, l’esistenza di “capacità, inclinazioni, aspirazioni” individuali, ma le subordina alla “ricchezza e alla potenza nazionale”. Lo Stato è visto come un vero e proprio Padre celeste (un’entità astratta e superiore), invece che come un concreto e complesso insieme via via rinegoziato di istituzioni, di regole, di poteri, di interessi, di pesi e contrappesi risultanti dalla dialettica tra le parti (individui e organizzazioni).

Un grande rischio è insito in questa concezione mistificante dello Stato: chi decide qual è l’interesse collettivo? Esclusi la dialettica sociale, il conflitto, il confronto tra i vari livelli in cui si articola una società, come si possono stabilire i bisogni delle persone se non presumendo l’esistenza di un’entità onnisciente capace di determinare univocamente (o di imporre) ciò di cui i cittadini hanno bisogno? O forse la cosiddetta volontà dello Stato non è altro che la volontà di chi detiene il potere statale? Ecco svelato il trucco: nascondere specifici interessi particolari dietro una presunta volontà autonoma superiore e totalizzante è un chiaro tentativo di legittimare il dominio dei molti da parte di pochi. Si esce così dalla modernità, si abbandona lo Stato di diritto per ritornare all’arbitrio e all’autorità indiscussa come principi regolatori dell’ordine sociale.

Chi vorrebbe vivere in una realtà simile? Chi sarebbe disposto a rinunciare alla sua libertà, alla consapevolezza di essere dotato di valore in sé e non in quanto ingranaggio di un meccanismo superiore sovrastante, di cui si è costretti a subire passivamente la suprema volontà senza poter concorrere a determinarla?

Questo è lo Stato fascista, questo è lo Stato promosso da CasaPound che, appellandosi a un ambiguo “anti-individualismo”, vorrebbe buttare nel cestino la lunga tradizione occidentale dello sviluppo dei diritti individuali, sociali e politici, della lotta contro la tirannia e l’arbitrio, del sostegno alla dignità della persona.

Nell’immaginario fascista pullulano creature mitiche, indefinite, astratte: i soggetti della storia non sono le persone in carne ed ossa (non una parola spesa per gli interessi e le libertà degli individui), ma degli agglomerati che si presume abbiano carattere autonomo, puro, nettamente definito: esistono dunque “nazioni ostili” contro le quali mobilitare la nazione italiana, intesa come un tutt’uno avente coerenti (e conformi) interessi e aspirazioni.

È in questo quadro concettuale che entra in campo il razzismo. Nel capitolo sull’immigrazione si parla del “girone infernale della società multirazzista”. Si presuppone quindi che esistano le razze, che le differenze etniche abbiano una componente biologica (qualcuno davvero ci crede ancora?), e quindi che il mescolamento tra “razze” sia un male assoluto, una minaccia per la purezza dell’identità nazionale italiana. Puzza di nazismo? Dite?

Le ragioni classiste dietro a questa retorica anni Trenta sono però evidenti: la trita lamentela contro gli immigrati che rubano il lavoro agli italiani perché “vengono volentieri ad accettare paghe da fame” si unisce a proposte come il “rimpatrio degli stranieri che si trovano in Italia e non hanno mezzi propri di sostentamento, casa e lavoro”. Insomma, CasaPound perpetua un sentimento classista di odio verso i poveri, farcito da un esplicito fascismo razzista.
Anche qui siamo fuori dalla modernità e dalla tradizione occidentale di cui tanto i neofascisti si riempiono la bocca. Si buttano alle ortiche centinaia d’anni di progressi intellettuali e si parteggia per un mondo a comparti stagni, dove ogni popolo è concepito per stare confinato nella sua “naturale” comunità identitaria, mentre la nazione italiana è impegnata in una paranoica crociata in difesa della sua purezza.

Ultimo punto che segna l’arretratezza e la pericolosità della visione di CasaPound, nonostante lo stile grafico accattivante dei suoi manifesti e la generale operazione di camouflage che mischia elementi sociali (ma sempre in chiave nazional-socialista) ad altri puramente liberisti (“La proprietà privata [...] deve comunque essere garantita dallo Stato”), è quello relativo alla concezione della donna. La donna è anzitutto madre, e il suo compito supremo è quello di fare figli (meglio se molti). Dal “coefficiente-familiare” per sostenere le donne che preferiscono rimanere a casa a curare i figli al reddito di natalità, la concezione del ruolo della donna nella famiglia è tradizionalista e retriva, come retriva è la riflessione stessa sulla natalità, ridotta a un mero problema di soldi (ignorando del tutto gli effetti sulle nascite dell’occupazione femminile e della riduzione delle disparità di genere), noncurante di ambiti differenti da quello del “focolare” per la realizzazione della donna, per la sua emancipazione, per la sua concezione come individuo dotato di ambizioni che possano andare oltre la maternità. Anche in questo caso le politiche a sostegno delle nascite non sembrano rispondere ai bisogni delle donne (che non hanno bisogno del solito opprimente tutore ufficiale, in questo caso impersonificato dallo Stato organico, per essere legittimati), bensì a quelli della conservazione della nazione italiana, della cui “scomparsa” l’unico imputato sembra essere l’erosione della famiglia tradizionale e la scarsa propensione a procreare.

Tra ritorno al nucleare (ma contemporaneo sviluppo delle energie rinnovabili) e sostegno alle grandi opere, celebrazione dell’educazione fisica nelle scuole e animalismo, fino alla “creazione di un Ente che coordini l’intera produzione culturale nazionale in ogni ambito e settore”, il programma di CasaPound è un mix di opportunismo interclassista e evergreen fascisti (con i lavoratori ma anche con i padroni, con la natura e gli animali ma anche con le grandi opere, con il nucleare ma anche con l’eolico, per la giustizia ma anche per l’amnistia politica di tutti gli imputati degli anni di piombo, con il cinema italiano ma contro “le inutili pellicole autoreferenziali che dominano il nostro cinema” - da cui sorge la domanda: chi è che decide quali pellicole sono autoreferenziali?).
Il modello di società tratteggiato nelle venti pagine del programma concepisce gli individui solo come ingranaggi di un potere superiore, insindacabile, incaricato di provvedere ai bisogni dei suoi cittadini solo in quanto funzionali allo sviluppo della “potenza nazionale”. I bisogni degli individui sono rigidamente prescrittivi, desunti in maniera raffazzonata e paternalistica, ritenuti degni di tutela solo se conformi a un ingombrante interesse collettivo di Stato. Il mondo là fuori è contro la nostra civiltà e non ci resta che difenderci, in preda a una delirante sindrome d’accerchiamento. La nostra società sta decadendo e dobbiamo fare tanti figli, assicurandoci che nessun corpo estraneo ci impedisca di assolvere a tale compito in piena autosufficienza. E chi lo dice? Lo Stato, che è un po' tutti noi ma soprattutto un organismo superiore da asservire e riverire.

Sembra una fregatura. Una pericolosissima fregatura. A voi no?


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