Vincitrice dell’edizione 2009 del “Grote Prijs van
Nederland” (il più importante talent show dei Paesi Bassi) nella categoria singer/songwriter,
Eefje de Visser è tra i grandi nomi del pop olandese. Solide basi folk
in salsa elettronica, formosità soul e r&b: questi gli
ingredienti dei primi due album (“De koek”, del 2011, e “Het is”,
uscito due anni più tardi), entrambi impegnati a trovare il giusto sistema di
pesi e contrappesi per bilanciare le varie componenti stilistiche, prediligendo
già una certa creatività nell’assemblaggio (strumenti esotici, approccio
cantautoriale, una particolare eleganza negli arrangiamenti). Serviva giusto la
consacrazione, ed ecco “Nachtlicht”, in grado di elevare consistentemente la formula dell’artista di Utrecht, ormai padrona dei
propri codici espressivi e del tutto a suo agio nella gestione di tempi,
accenti, spazi. Il passo in avanti appare quindi un vero e proprio balzo, per
una proposta con tutte le carte in regola per travalicare i confini nazionali,
riuscendo nell’impresa di proporre un suono maturo, rifinitissimo e per molti
versi inedito.
Folktronica soffusa, notturna, alla maniera di Marika
Hackman, che si sposa con un gusto elettronico oscillante tra eteree
scenografie ambient (si parla quindi di James Blake) e pulsanti
ibridazioni dance pop. Elemento caratterizzante, specie per chi abituato
all’inglese come idioma dominante in ambito pop, l’olandese di Eefje:
una lingua incredibilmente musicale e duttile, capace di assumere la morbidezza
del francese, le spigolosità del tedesco, la scioltezza dell'inglese.
Proprietà, queste, ampiamente dipanate nella prima “Scheef”, folktronica chiaroscurale che procede placidamente, senonché i nugoli di patterns glitch si fanno più insistenti, e allora entra un synth irradiante (memore dell'ultimo East India Youth), la voce si moltiplica ed espande, e il pezzo muta in un crescendo in accumulo da capogiro. È evidente, qui, un rigore compositivo mai sentito finora. “Mee” è un'altra sorpresa: electro-pop morbido, melodicamente ineccepibile (ricordate, almeno un po', gli Arthur Beatrice?), garbatamente dance, ma al contempo passato attraverso una lettura riflessiva, soffice, onirica. L'elemento dreamy è, in “Nachtlicht”, predominante, regolando la dizione, amministrando i tempi, facendo spazio tra le tessiture: lo si sente negli spazi aperti di “Naartoe”, dal gusto cosmico e psichedelico, o nel dream folk di “Wakker”, nelle meccaniche kraute di una “Jong” portata avanti languidamente dalla dizione della de Visser, mentre si attua il solito, lento, germogliare di arrangiamenti -parti elettroniche, frasi funk di chitarra, basso propulsivo- che si risolvono in un'ampia veduta sintetica.
Il connubio tra meccaniche moderniste e grazia cantautoriale
lascia spesso ammaliati (“Staan”, splendido r'n'b cosmico, “Stof”,
infiltrata tanto da dinamiche trip hop quanto da un senso della
scrittura che potrebbe anche avvicinarla ad una Julia Holter, la magica
“Wacht”, a ricordare certi Vondelpark, con quegli azzeccatissimi
interventi di chitarra in delay), regalandoci una complessa creatura sonica
tutta da esplorare. “Nachtlicht” possiede una grande espressività,
capace di far subito colpo. C'è di più, però: perché gran parte delle fragranze
sono dispensate solo nel tempo, solo dopo ripetuti approcci. Ci vuole maturità
per saper gestire dosaggi così equilibrati e al contempo ricchi e stratificati.
Eefje de Visser, questa maturità, la dimostra tutta.
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