Ora è tutto finito. È stato un
attimo, uno strappo, ed eccomi qui a penzolare al freddo. La gente è
rimasta per un po' a guardare il mio corpo rigido alla ricerca di
qualche dettaglio morboso a cui pensare nei giorni a venire. Ci
portano anche i bambini in occasioni come queste. Dicono che serve da
esempio. Stronzate. Quando ho visto la mia prima esecuzione mio padre
mi ha dato uno schiaffone e mi ha costretto a guardare. Non so
nemmeno che cosa avesse fatto quel disgraziato, sarà stato un
balordo come tanti altri. L'unica cosa che mi ha lasciato
quell'esperienza è lo schifo: per questo paese pulcioso e per mio
padre. La gente si ammassa sempre in occasioni come questa, ed è per
questo che la gente mi ripugna peggio di un cane rognoso. La gente di
qui passa la vita a marcire nel rancore e a guardare i poveracci
crepare. Come per darsi uno scossone, o per convincersi che tutto
sommato c'è chi sta peggio.
Ritornando alla paura: non l'avevo.
Fino a che un pensiero mi è balenato nel cervello. E se il collo non
si fosse spezzato? Ero pronto a mandare tutto al diavolo ma preferivo
farlo in fretta, senza soffrire. L'idea, improvvisa, di starmene
lassù a rantolare mi ha gelato il sangue nelle vene. Un brivido mi
ha percorso la schiena proprio mentre il vento ha dato una sferzata
sollevando un polverone che ha costretto tutti a coprirsi il volto, e
il boia ad aspettare. E allora mi sono calmato e ho riacquistato la
mia rassegnata noncuranza. Era solo questione di pochi istanti, tanto
valeva andarsene con compostezza. Che andasse come doveva andare.
In fondo ero lì perché le cose in un
modo o nell'altro si equilibrano. Quel tizio aveva tirato fuori il
coltello e aveva pensato bene di fare il gradasso con la ragazza del
posto dove andavo a bere. Era una puttana ma era pur sempre bella. E
giovane. E non mi andava che qualcuno le facesse del male. Ero stato
con lei diverse volte, e non sempre ci avevo dato dentro. Anzi il più
delle volte me ne stavo buono e scambiavo due parole con lei. Poche,
non sapevo cosa dire e sono sempre stato di poche parole, oltre ad
avere poca immaginazione. Però lei sembrava apprezzare. La pagavo
uguale e poteva riposarsi un po'. Inutile negarlo, provavo qualcosa
per quella ragazza, maledizione. Un'altra creatura che aveva dovuto
sistemarsi in un modo o nell'altro. Non ho mai fatto progetti su di
lei, mi limitavo a vivere alla giornata, come ho già detto. Così se
capitava salivo nella sua stanza e andava come andava. E quel tipo,
quel giorno, stava facendo quello che non doveva fare, così si è
preso una coltellata in pancia ed è morto dissanguato. Non volevo
ammazzarlo ma è andata così, che non è nemmeno poi tanto male. Non
ho rimorsi. Certo è stato un fastidio tutto quello che è venuto
dopo, una vera seccatura. Non pensavo che sarei finito a dondolare al
vento con una corda al collo, ma tant'è.
Ad ogni modo, quando è arrivato il
calcio del boia son caduto a peso morto, la corda di colpo si è tesa
e il collo si è spezzato. Non ho sentito nulla, se non il vuoto allo
stomaco prima del tonfo. Un attimo prima, non appena la polvere
sollevata dal vento si è riposata a terra, sono riuscito ad
individuare la ragazza. Guardava dalla finestra della camera dove
andavamo di solito, sopra il postaccio dove passavo le serate a bere.
Mi guardava e mi è parso che piangesse. Era lontana, non ci
giurerei. Però son quasi sicuro che la sua guancia fosse solcata da
una striscia luccicante. Questo mi ha reso per un attimo felice, non
so perché. Forse perché nessuno aveva mai pianto per me. È stato
un bel gesto, mi ha dato un po' di calore nonostante quel maledetto
vento e quella situazione di merda. E poi ho sentito il vuoto allo
stomaco e l'osso del collo ha fatto crac.
Ora la gente se ne sta andando a
piccoli gruppi. Chi va a bere, chi torna a casa tenendo per mano i
figli, che ogni tanto si girano per dare un'ultima occhiata a quella
strana cosa che è la morte che penzola attaccata ad una corda.
Pensavo sarebbe tutto scomparso, una volta morto, invece sono ancora
qui. Il vento mi fa dondolare piano. Qualche goccia, inizia a
piovere. Tra poco qualcuno passerà a tirarmi giù e mi butterà in
una fossa improvvisata, poco fuori dal paese. Evidentemente la morte
è arrivata così all'improvviso che me ne devo ancora rendere conto.
Forse presto scomparirà tutto. Però adesso ho l'immagine di quegli
occhi lucidi e di quella guancia rigata e, detto tra noi, provo un
po' di dispiacere per come sono andate le cose. Potevo pensare a
sistemarmi e mettere al mondo qualche figlio. Ma forse no, non vale
la pena che dei marmocchi assistano a questo schifo. L'ultima cosa
che mi è rimasta è la compassione di quello sguardo, il calore di
quelle lacrime. Di questo sono grato, immensamente grato. Non è poi
finita così male, la mia vita.
Matteo Castello
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